In Norvegia, un dodicesimo della popolazione italiana, lo sci è prima di tutto un'attività ludica non competitiva, praticata dalla popolazione per divertirsi e stare bene.
Questo non impedisce di sfornare campioni, anzi, dominano lo sci nordico e competono alla grande nello sci alpino.
Anche nei mitici paesi socialisti lo sport, prima ancora che essere uno spietato terreno di competizione con l'Occidente, era un'attività sociale di base, praticata e incoraggiata nelle scuole, nei luoghi del dopo lavoro, per stare meglio.
Da noi o tutto o niente. Anche lo pseudo dilettantismo, scimmiotta lo sport professionistico, vivendo le gare dei sessantenni con uno spirito competitivo davvero fuori luogo (e in alcuni sport, perfino col doping, neanche ci fosse una medaglia olimpica di mezzo), e dall'altro lato, chi non fa sport, sta sul divano e non concepisce di fare fatica per salire 500 m più in alto con le proprie gambe.
A guardare i risultati han ragione gli altri. Tolta la scherma, quale ambito sportivo vede un'Italia stabilmente dominante o fortemente competitiva? Adesso nello sci alpino abbiamo la fortuna di avere tre ottime ragazze, ma nello sci maschile cosa c'è? E prima della Brignone e compagnia, in quello femminile cosa c'era?
Ormai le performance sono più che mediocri perfino nel calcio. Ora per un po' bisogna smettere di ispirarsi ai film americani sulla "grinta" bisogna avvicinare i cittadini allo sport, alle attività motorie, prima di tutto per creare una base di appassionati (e magari per migliorare la salute della popolazione). Poi, con un bacino d'utenza molto ampio, su 60 milioni di cittadini, emergerà anche il campione su cui puntare.