Provo a rispondere.
Immagino che tutte le agenzie e associazioni che organizzano queste avventure siano gestite in maniera intelligente. Sicuramente avranno una assicurazione per ogni persona che "sale" in modo da pararsi da possibili azioni legali nefande per la loro esistenza.
C'è da dire, d'altro canto, che, al pari di un intervento chirurgico coloro che partecipano a quete avventure vengono edotti dei pericoli e senza dubbio firmano una sorta di "consenso informato" al pari di quello, appunto, degli interventi chirurgici.
Fatta questa doverosa premessa e considerando le regole di diritto internazionale privato che imperano in questi rapporti internazionali (l'esempio è quello di un uomo italiano che prova a scalare l'everest e per fare questo si appoggia a organizzatori locali), la situazione è complessa e sicuramente di livello più alto rispetto a quello che normalmente viene discusso in un forum di sci.
In queste vicende "internazionali" si applicano i cosiddetti "criteri di collegamento" e, nel caso di responsabilità extracontrattuale come quella che abbiamo preso in considerazione il collegamento più ovvio è quello del Luogo dove la il danno si produce. Questo ricollega alla fattispecie la norma applicabile del paese dove si è prodotto il danno (morte dello scalatore).
Ora, io non conosco affatto le norme in ambito di responsabilità extracontrattuale nazionali del luogo (
) quindi posso fare solo un parallelo relativamente a quello che succederebbe se un tibetano muore nella scalata del cervino.
Peraltro occorre anche valutare che in italia e più ampiamente in europa una clausola che prevede preventivamente una TOTALE esenzione delle responsabilità del "professionista" non è accettata e renderebbe tale clausola nulla (vedi codice del consumo, art. 33 se non erro). Al contrario, nei luoghi dove l'accordo si conclude, potrebbe invece essere possibile per il professionista (leggi agenzia) esonerarsi anticipatamente da qualsiasi tipo di danno che potrebbe concretizzarsi durante la scalata.
Tuttavia nel nostro ordinamento vige, in casi come quello in oggetto, l'art. 2043 cc, la cosiddetta responsabilità aquiliana. Tale categoria di responsabilità è stata creata dai romani più di 2000 anni fa e, considerando la complessità intrinseca, viene costantemente rivista e rimodellata soprattutto per tutti quei casi che possono ritenersi "limite".
In parole povere, "l'agenzia" è responsabile per tutti i danni ingiusti che per imperizia imprudenza o negligenza si siano concretizzati. Andando più nello specifico e cercando di esemplificare la questione, immagino che possa ritenersi responsabile una agenzia che, non considerando la "fila" che si crea non invia un surplus di ossigeno ai propri scalatori. In imprese di questo genere, dove di prevedibile c'è ben poco, è veramente difficile ricollegare un caso di imperizia o imprudenza all'operato della "agenzia"... a meno che questa non si renda colpevole di un azione o omissione macroscopica cui si ricolleghi il danno.
Per quanto riguarda le "condizioni" dello scalatore, immagino che sia lo steso che dichiara in sede di accordo che tipologia di scalatore è; se ha problemi fisici, di salute, handicap o cose del genere deve comunicarlo in modo di rendere possibile per la controparte creare un situazione di sicurezza nel quale lo stesso possa fare la scalata. Tali dichiarazioni, oltretutto, immagino vengano usate anche per impedire l'ascesa a chi magari non ha le competenze o la salute per farla.
Ho fatto svariate elucubrazioni non conoscendo nello specifico la prassi per questa tipologia di questioni.
Spero di non avervi annoiato e di non essere andato troppo OT