La mia posizione potrà sembrare paradossale (e verrei probabilmente crocefisso dal relatore di quella tesi), ma io non credo che lo sci da discesa sia particolarmente impattante sull'ambiente, in rapporto al PIL pro capite che riesce a generare a beneficio delle popolazioni delle vallate. Credo anzi che sia uno dei modi più efficienti per creare PIL.
Parto dal presupposto che l'ambiente montano, così come lo vediamo a quota-piste, sia tutto tranne che naturale: con ampi disboscamenti, dissodamenti, terrazzamenti, etc ..., è stato fortemente plasmato da secoli di lavoro umano, per consentire lo svolgimento di attività (agricoltura, allevamento, pastorizia ...) che permettevano a malapena la sussistenza. Probabilmente sarebbe stato alterato anche di più, se fossero già esistiti i mezzi meccanizzati.
Se si esamina la ns. passione nel modo più distaccato possibile, gli sciatori sono persone che in fondo si accontentano davvero di poco: farsi portare in cima a una montagna e poi scivolare giù per una pista.
Con un disboscamento di 100 m di larghezza x 2 km di lunghezza = 20 ha = 0.2 km2 si fanno divertire 2.000 persone ogni giorno (fingo che siano sempre le stesse a girare su un impianto di pari portata oraria), le quali avranno portato all'economia almeno 150 eur cadauna (fra skipass, pernottamento, pasti, etc ...), ossia 300.000 eur. Non so quanto sia il valore aggiunto insito in quel fatturato, ma fosse anche solo del 10%, sarebbero 30.000 eur al giorno di PIL che va a beneficio delle popolazioni locali. Basta poi moltiplicare quel numero per 100 giornate e si arriva a 3 Meur di PIL, numero che dà da mangiare a circa 100 bocche.
Quanti km2 di suolo sarebbe stato necessario disboscare e trasformare in campi o in pascoli, per generare lo stesso reddito?
Non entro nel dettaglio degli altri fattori (acqua, energia elettrica, gasolio) e mi limito a considerare che solo il combustibile che muove i gatti delle nevi è una fonte visibilmente non rinnovabile e tale da squilibrare il bilancio della CO2. Qualcuno più esperto di me potrà dire quanti ha di bosco serva lasciare integri, per "mangiare" la CO2 emessa dai gatti e restituircela sotto forma di ossigeno.
Per venire al cuore di questo ragionamento, credo che l'elemento davvero impattante di questo modello di generazione della ricchezza (non lo sci in particolare, ma il turismo in generale) siano le infrastrutture di accoglienza che devono essere create, inevitabilmente sovradimensionate per fare fronte alla stagionalità del turismo.
In città, bene o male, la popolazione è abbastanza stabile nell'anno e quindi abitazioni, strade, acquedotti, fognature, elettrodotti, etc ... sono dimensionati su un carico medio.
In montagna (o in una località di villeggiatura) sono invece dimensionate sul carico massimo della stagione turistica ed è probabilmente qui che si annida il sovraccarico sull'ambiente montano. E, lo sottolineo, a pari numero di turisti attratti nelle valli, ha poca rilevanza che gli stessi calzino sci da discesa, da fondo, da scialpinismo, ciaspole o scarponcini da trekking o vadano ad ascoltare un concerto in un rifugio, perchè alla fine tutti devono dormire e mangiare da qualche parte.
La soluzione, al limite, sarebbe stata quella di mettere un numero chiuso ai turisti in generale (o agli sciatori, in particolare), al raggiungimento della piena occupazione della popolazione autoctona. Se camerieri, cuochi, governanti, etc degli alberghi devono essere tutti importati come stagionali da altre regioni d'Italia o dall'estero (questo è ciò che vedo da almeno 30 anni nelle Dolomiti), a me è abbastanza evidente che da tempo ormai immemore il giro d'affari sia andato ben oltre il dare un buon reddito alle popolazioni delle vallate. Ma ormai così è e dubito che i valligiani accetterebbero un ridimensionamento del loro reddito annuale.
Sempre nell'ottica di evitare un sovraccarico infrastrutturale, un errore madornale che si sarebbe dovuto evitare è quello delle seconde case, che portano un grande carico antropico nei periodi di villeggiatura, ma decisamente meno PIL per i valligiani, rispetto agli alberghi. Dove sono stati più accorti, lo hanno evitato come la peste, ma in tante vallate hanno preferito l'uovo oggi alla gallina domani.
Quindi, lunga vita allo sci