Meno male, almeno il Corvo Rosso lo conosco bene.
Stiamo parlando di vini siciliani, giusto?
Scherzi a parte, molto affascinanti le tue foto "d'epoca", soprattutto questa
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Orobie meridionali, val seriana e Scalve, c'erano 7 stazioni di medio piccola dimensione(3/4 impianti), distanti 10km l'una dall'altra tra l'altro fortemente complementari tra l'oro.prese singolarmente valgono poco ma tutte assieme costituiscono una bellissima diversificazione potenzialmente molto attrattiva per un soggiorno in media valle.
Indovinate un po come sta andando?due sono già morte da tempo, principalmente a causa del "pubblico" che pur di ostacolare il privato(che in alcuni casi poteva essere anche dello stesso cognome) ne ha favorito il decesso. Con il benestare delle altre stazioni che si fregavano le mani per spartirsi la fetta di....polenta...avanzata.
Ora ne restano 5, di cui solo un paio in buona salute..sotto a chi tocca.
Fossero messe "in rete", sistemate, con un bello skipass unico, potrebbero funzionare un po' sul modello della Val di Fiemme...
Sgualdrina, oltre che da conoscere per questioni sciatorie, è un toponimo che getta le proprie origini nella storia della prima guerra mondiale. è veramente assurda l'ignoranza del pubblico sull'epopea della Grande Guerra in Adamello, forse lo scenario più estremo del conflitto (insieme a Orles-Cevedale, ma questo soprattutto ad altissima quota è stato molto meno attivo come fronte).
Forse le vicende più note della Prima Guerra Mondiale, tra quelle occorse in montagna, sono quelle relative all'altopiano di Asiago (raccontate in un libro capolavoro di Emilio Lussu, "un anno sull'altipiano") e quelle del fronte dolomitico: Col di Lana, Lagazuoi, Tofane, Tre Cime...
O forse no... comunque grazie per le informazioni molto interessanti; riporto un brevissimo estratto trovato in rete:
E' curioso notare come il toponimo "la Sgualdrina", tuttora in uso, sia stato involontariamente assegnato dall'ufficiale bergamasco Antonio Leidi (...).
Antonio diede il nome alla roccia "La Sgualdrina" sull'Adamello. Era una roccia sulla quale i nemici avevano installato una mitragliatrice. "Nessuna novità", era stato chiesto dal Comando al Tenente Leidi. "Nulla, salvo qualche raffica da quella... lassù... da quella Sgualdrina".
Ecco, nella mia personalissima concezione di
slow ski, è compreso anche il piacere, quando si scia in un posto nuovo, di dedicare un po' di tempo al farsi un'idea (più o meno sommaria) di dove ci si trova.
Le montagne, i fiumi, la storia, la gente, i paesi, le tradizioni, la lingua, la cucina...
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Visto che è stato citato l'Ortles, riporto una breve storia diffusa in Val Venosta che riguarda questo gigante delle Alpi Retiche (si tratta di una storia piuttosto recente, a differenza per esempio di quella molto più antica di Haunold, il gigante pusterese):
Moltissimo tempo fa le valli e le gole delle Alpi Retiche erano popolate da una stirpe di giganti, che dimoravano in antri rocciosi e si cibavano della carne degli animali selvatici e del midollo degli orsi.
Vi era tra questi giganti un giovanotto di bell’aspetto chiamato Ortles.
Era più alto degli alberi più alti; quando essi intralciavano il suo incedere, li strappava come fili d’erba o li calpestava schiacciandoli sotto le suole.
Cresceva, Ortles, sempre più, non solo in altezza ma anche in superbia; era diventato più alto delle più alte cime dei monti circostanti, e guardava tutto e tutti dall’alto in basso.
Finché un giorno il nano dello Stelvio si arrampicò coraggiosamente sulle gambe e poi sul corpo del gigante, e una volta giunto sulla testa si mise a percuoterla con le nocche e cominciò a canzonarlo sfrontatamente: “Ortles, come sei piccolo! Persino io che sono un nano sono più alto di te!”
Infastidito, Ortles fece per rincorrere il nano che intanto era velocemente sceso giù e stava scappando: lo voleva acchiappare e scagliare lontano nella più profonda delle gole.
Ma con orrore, Ortles si accorse che non sentiva più le gambe, non sentiva più le braccia.
Si immobilizzò, pietrificato, e velocemente si ricoprì di ghiacci e nevi eterne.