Qui parliamo del Numero 23 di Free.Rider - The only italian freeride magazine
Oggi in una edicola dispersa, poco sotto i Castelli di Giulietta e Romeo (chi sa dove sono?
) l'ho finalmente trovato
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Non l'ho ancora letto ma la foto della copertina di questo numero è una delle più belle ed originali foto mai viste. Mette a confronto i due modi di scendere: curvette e curvoni. Forse nuovo freeride con vecchio skialp. Insomma, già dalla foto si potrebbe discutere su molti aspetti.
Quello che tira il curvone taglia di netto tutte le curvette lasciate.
Mi sono permesso, e spero che sia non un "atto impuro" di scannare la copertina e postarla qui sotto. Non penso che mi metteranno in galera, anzi, spero la vedano come una sorta di promozione.
Ora leggerò gli articoli e dirò la mia. Sfogliandolo mi è sembrato un numero eccezionale.
Ecco la foto :?mm :sbavsbav: della copertina :clap: :GR
Copertina del numero 23 di Free.Rider
Posto qui il Sommario che dovrebbe essere pubblico.
SKIERS? NO GRAZIE, SCIATORI MADE IN ITALY. L’odore umido del cibo riscaldato aleggia in cabina. Bleah, ho quasi la nausea e il mio spazio vitale sul sedile vicino al finestrino è ridotto ai minimi termini. Non resisto più, vorrei muovermi, odio volare in aereo. Odio ogni mezzo di trasporto che non posso guidare o dirigere autonomamente, odio non sentirmi libero. Odio anche il mio obeso vicino di posto che dorme indifferente da quando siamo decollati. Ho bisogno di spazio e di aria fresca. Ho bisogno di correre, di stirare e di contrarre i muscoli delle gambe ingolfati dai metri di dislivello e dalle curve in neve fresca dei giorni scorsi.
Ritorno da Revelstoke, in Canada. Guardo fuori dal finestrino e nella luce livida del giorno a cui andiamo incontro viaggiando verso est, vedo un mare omogeneo di nuvole color viola. È l’alba. Sugli schermi passa “Un pesce di nome Wanda”, l’avrò visto 800 volte. Mi distraggo sfogliando un giornale comprato in aeroporto, naturalmente di sci. Guardo le pagine un po’ distratto e un po’ annoiato, ho voglia di tornare a casa, tra le mie montagne. In un paio di mesi è la quarta volta che attraverso l’oceano per sciare in Nord America. Mi piace fare snowboard in questi spazi immensi, mi piace sciare dove incontri gente con desiderio di esplorare e voglia di neve fresca, ma col tempo ho un po’ stemperato il mio entusiasmo per il freeride made in Usa, consapevole che per lo sci fuoripista un’area strepitosa e consistente come le Alpi non esiste in nessun altro luogo del pianeta. E poi con tutto il rispetto, l’americano medio e il suo porsi al centro del mondo, passata la settimana, mi dà sui nervi.
Guardo le immagini pubblicate su Skiing, e avverto la stessa sensazione di disagio che mi procura l’odore di cibo che aleggia in cabina. Nausea. Le immagini si ripetono con una costante fissa: salti e cliff. Ho la sensazione che lo sci o lo snowboard che faccio io e che vedo fare ai miei amici sia qualcosa di totalmente differente da quello che vedo stampato sulle pagine dei giornali. Anche il mio giornale, a volte ho paura, sembra così. Allora mi metto a contare, ad analizzare e a calcolare statisticamente la struttura della rivista, sconfortato e allo stesso tempo rassicurato dalla lunghezza quasi infinita del viaggio che mi rimane ancora da compiere prima di atterrare a Malpensa.
La rivista conta 98 pagine. Escludendo la pubblicità, le pagine con foto d’azione rimangono 38. Però, pochine. In 32 pagine 38 gli atleti (o i fotomodelli? o gli acrobati?) saltano, cliffano oppure scivolano di traverso su un tubo di metallo. Minchia, se hai 39 anni e leggi Skiing ti restano solo sei pagine per godere. Tra queste, quattro pagine sono foto di powder. Belle, ma potrebbero essere fatte ovunque e nella didascalia c’è scritto Alaska o Colorado. Va beh, ci credo. Le due pagine più interessanti della rivista sono il racconto della discesa del Sassongher. Alta Badia. Dolomiti, Italia. Curioso.
Inizio a leggere, la rubrica si chiama “First Track”, prima traccia. “Che prima traccia, lo avranno fatto in 3000…”, penso. C’è il racconto di un certo Micah Black, deve essere uno bravo. A leggere l’articolo sembra descriva la discesa del Couloir Norton all’Everest. Marco Siffredi, che lo ha fatto per davvero, era stato più sbrigativo. Il nome italiano del canale, Sassongher o Val Scura, è sparito. E’ stato ribattezzato “Dark Corridor”. Nel titolo della pagina, alludendo al nome imposto alla linea, si legge in grande “Mamma mia”. Bene, ci mancano solo riferimenti alla mafia, pizza e mandolino. Nausea. Chiudo la rivista e la metto via. Guardo fuori dal finestrino, le nuvole sono sparite. Nella luce bassa del mattino vedo le montagne della Groenlandia. Nessun segno di vita, nessuna traccia dell’uomo. Solo montagne senza nome e ghiacciai. Speriamo restino per sempre così, selvagge e inesplorate. Sconosciute. Senza indigeni e senza colonizzatori arroganti. Semplicemente, silenziosamente, montagne da sciare.
Emilio Previstali
Oggi in una edicola dispersa, poco sotto i Castelli di Giulietta e Romeo (chi sa dove sono?

Non l'ho ancora letto ma la foto della copertina di questo numero è una delle più belle ed originali foto mai viste. Mette a confronto i due modi di scendere: curvette e curvoni. Forse nuovo freeride con vecchio skialp. Insomma, già dalla foto si potrebbe discutere su molti aspetti.
Quello che tira il curvone taglia di netto tutte le curvette lasciate.
Mi sono permesso, e spero che sia non un "atto impuro" di scannare la copertina e postarla qui sotto. Non penso che mi metteranno in galera, anzi, spero la vedano come una sorta di promozione.
Ora leggerò gli articoli e dirò la mia. Sfogliandolo mi è sembrato un numero eccezionale.
Ecco la foto :?mm :sbavsbav: della copertina :clap: :GR
Copertina del numero 23 di Free.Rider

Posto qui il Sommario che dovrebbe essere pubblico.
SKIERS? NO GRAZIE, SCIATORI MADE IN ITALY. L’odore umido del cibo riscaldato aleggia in cabina. Bleah, ho quasi la nausea e il mio spazio vitale sul sedile vicino al finestrino è ridotto ai minimi termini. Non resisto più, vorrei muovermi, odio volare in aereo. Odio ogni mezzo di trasporto che non posso guidare o dirigere autonomamente, odio non sentirmi libero. Odio anche il mio obeso vicino di posto che dorme indifferente da quando siamo decollati. Ho bisogno di spazio e di aria fresca. Ho bisogno di correre, di stirare e di contrarre i muscoli delle gambe ingolfati dai metri di dislivello e dalle curve in neve fresca dei giorni scorsi.
Ritorno da Revelstoke, in Canada. Guardo fuori dal finestrino e nella luce livida del giorno a cui andiamo incontro viaggiando verso est, vedo un mare omogeneo di nuvole color viola. È l’alba. Sugli schermi passa “Un pesce di nome Wanda”, l’avrò visto 800 volte. Mi distraggo sfogliando un giornale comprato in aeroporto, naturalmente di sci. Guardo le pagine un po’ distratto e un po’ annoiato, ho voglia di tornare a casa, tra le mie montagne. In un paio di mesi è la quarta volta che attraverso l’oceano per sciare in Nord America. Mi piace fare snowboard in questi spazi immensi, mi piace sciare dove incontri gente con desiderio di esplorare e voglia di neve fresca, ma col tempo ho un po’ stemperato il mio entusiasmo per il freeride made in Usa, consapevole che per lo sci fuoripista un’area strepitosa e consistente come le Alpi non esiste in nessun altro luogo del pianeta. E poi con tutto il rispetto, l’americano medio e il suo porsi al centro del mondo, passata la settimana, mi dà sui nervi.
Guardo le immagini pubblicate su Skiing, e avverto la stessa sensazione di disagio che mi procura l’odore di cibo che aleggia in cabina. Nausea. Le immagini si ripetono con una costante fissa: salti e cliff. Ho la sensazione che lo sci o lo snowboard che faccio io e che vedo fare ai miei amici sia qualcosa di totalmente differente da quello che vedo stampato sulle pagine dei giornali. Anche il mio giornale, a volte ho paura, sembra così. Allora mi metto a contare, ad analizzare e a calcolare statisticamente la struttura della rivista, sconfortato e allo stesso tempo rassicurato dalla lunghezza quasi infinita del viaggio che mi rimane ancora da compiere prima di atterrare a Malpensa.
La rivista conta 98 pagine. Escludendo la pubblicità, le pagine con foto d’azione rimangono 38. Però, pochine. In 32 pagine 38 gli atleti (o i fotomodelli? o gli acrobati?) saltano, cliffano oppure scivolano di traverso su un tubo di metallo. Minchia, se hai 39 anni e leggi Skiing ti restano solo sei pagine per godere. Tra queste, quattro pagine sono foto di powder. Belle, ma potrebbero essere fatte ovunque e nella didascalia c’è scritto Alaska o Colorado. Va beh, ci credo. Le due pagine più interessanti della rivista sono il racconto della discesa del Sassongher. Alta Badia. Dolomiti, Italia. Curioso.
Inizio a leggere, la rubrica si chiama “First Track”, prima traccia. “Che prima traccia, lo avranno fatto in 3000…”, penso. C’è il racconto di un certo Micah Black, deve essere uno bravo. A leggere l’articolo sembra descriva la discesa del Couloir Norton all’Everest. Marco Siffredi, che lo ha fatto per davvero, era stato più sbrigativo. Il nome italiano del canale, Sassongher o Val Scura, è sparito. E’ stato ribattezzato “Dark Corridor”. Nel titolo della pagina, alludendo al nome imposto alla linea, si legge in grande “Mamma mia”. Bene, ci mancano solo riferimenti alla mafia, pizza e mandolino. Nausea. Chiudo la rivista e la metto via. Guardo fuori dal finestrino, le nuvole sono sparite. Nella luce bassa del mattino vedo le montagne della Groenlandia. Nessun segno di vita, nessuna traccia dell’uomo. Solo montagne senza nome e ghiacciai. Speriamo restino per sempre così, selvagge e inesplorate. Sconosciute. Senza indigeni e senza colonizzatori arroganti. Semplicemente, silenziosamente, montagne da sciare.
Emilio Previstali