mountainequipment
sognatore
Premessa. Sono stato indeciso se postare o meno questo report. Alla fine l’ho scritto al fine che i miei (e nostri) errori, possano essere di qualche riflessione per altri.
Siamo partiti molto presto da Verona, come capita spesso, con l’idea di fare una bella giornata alla ricerca di neve bella, un po’ di fatica e tanto divertimento.
Il giro in programma per oggi era il concatenamento di due belle discese: il calssico fuoripista del Passo delle Selle e la Val San Nicolò il tutto con partenza dal Passo San Pellegrino e rientro a Meida (Pozza di Fassa).
Foto ingrandita
Organizzate le macchine, prendiamo lo skibus da Moena e raggiungiamo il Passo. Dopo una rifocillante colazione a base di Krapfen e Caffè prendiamo la seggiovia, attacchiamo le pelli e su velocemente fino al rifugio Passo delle Selle dove troviamo il bivacco invernale in “annegato” nel bianco.
La discesa esposta fondamentalmente ad Ovest non regala, come in parte previsto, nulla che pessima crosta non portante – ad Ovest di mattina, cosa vuoi trovare? direte voi - , e poi quando si gira a Nord, invece ottima polvere.
L’ambiente selvaggio a pochi passi dagli impianti affascina sempre, pochi passaggi (che cmq con il vento ed il ciclo sgelo-rigelo non si notavano) e temperatura ottima.
Scesi lungo l’alveo del torrente, cercando di mantenere quota, raggiungiamo le tracce di salita che ci portano prima alla forcella dal Pief e poi alla cima del M. Pecol.
Giunti alla croce ci rendiamo subito conto che il versante a nord ci avrebbe regalato quello che speravamo: polvere di ottima qualità dopo ben due settimane di magra! L’euforia della bella neve trovata sale (primo errore).
Pronti per la discesa, due foto di rito, ed analisi veloce su quale linea prendere.
Tenuto conto che il bollettino dava “rischio marcato e rischio di valanghe a lastroni sui pendii ripidi esposti a nord con forti sovraccarichi sopra il limite del bosco ”, ma che cornici grosse non vi erano, che gli apporti da vento non sembravano marcati, decidiamo di assaggiare la discesa direttamente. Scendo per primo, con reverenza, faccio pochi metri, un paio di curve, non sento rumori o sensazioni strane, e do l’okay.
Fatti 100 m mi fermo ad aspettare gli altri, ormai il limite del bosco lo vedo. Mi fermo al lato di un dosso, non proprio in cima (secondo errore) su un terreno non ripido ma oltre “la soglia” dei 30 gradi (direi sui 35 circa). Arriva Manu, arriva Petra. Riparto senza aspettare l’arrivo di Mario (terzo errore). La linea di discesa diretta, che al momento mi sembrava la più logica, stava appena sulla sinistra a prendere un canale largo, ma per qualche motivo, magari tentato dalla bella neve, tiro dritto per il canalino sotto di me che punta una radura quasi quasi piatta (quarto errore).
Uscito dal canalino sento una fortissima botta da dietro. Penso, cazzo, qualcuno mi è venuto addosso. Neve da tutte le parti. Sento di essere spinto e trascinato. Vedo solo tanta neve. E’ una valanga. D’istinto mi viene da cercare la maniglia dell’ABS … ma mi sto già fermando. Ho la maniglia in mano ma non la tiro. Sono fermo e vedo il cielo. Non mi riesco a muovere. Però sono intero. Urlo “sono qui!”. Vedo che c’è sangue un po’ dappertutto. Veloce arriva Mario che in breve, con la pala, mi disotterra. Arrivano anche Emanuele e Petra.
Mentre gli altri cercano uno sci, mi riprendo. Tiro via il casco e controllo i danni. Non troppi ma non si può dire “nulla”. Ho freddo. Voglio solo scendere a valle. Chiedo cosa è successo, mi dicono che uno era caduto (quinto errore), nella caduta si era staccato un lastrone che a sua volta aveva fatto staccare il lastrone che mi aveva colpito. Una 40na di cm di spessore.
Appena mi trovano lo sci mancante chiedo che mi portino giù e così scendiamo velocemente, sci ai piedi verso Meida, l’ambulanza e l’ospedale.
In questi giorni di convalescenza, ho ripensato spesso all’accaduto. Ho riletto molti libri su valanghe e comportamento, casualità ha voluto che mi arrivasse a casa anche un libro ordinato alcune settimane fa, “Freesking” di Jimmi Odén. Bel testo. Anche lui molto didattico. Lo consiglio.
Siamo partiti molto presto da Verona, come capita spesso, con l’idea di fare una bella giornata alla ricerca di neve bella, un po’ di fatica e tanto divertimento.
Il giro in programma per oggi era il concatenamento di due belle discese: il calssico fuoripista del Passo delle Selle e la Val San Nicolò il tutto con partenza dal Passo San Pellegrino e rientro a Meida (Pozza di Fassa).
Foto ingrandita
Organizzate le macchine, prendiamo lo skibus da Moena e raggiungiamo il Passo. Dopo una rifocillante colazione a base di Krapfen e Caffè prendiamo la seggiovia, attacchiamo le pelli e su velocemente fino al rifugio Passo delle Selle dove troviamo il bivacco invernale in “annegato” nel bianco.

La discesa esposta fondamentalmente ad Ovest non regala, come in parte previsto, nulla che pessima crosta non portante – ad Ovest di mattina, cosa vuoi trovare? direte voi - , e poi quando si gira a Nord, invece ottima polvere.
L’ambiente selvaggio a pochi passi dagli impianti affascina sempre, pochi passaggi (che cmq con il vento ed il ciclo sgelo-rigelo non si notavano) e temperatura ottima.

Scesi lungo l’alveo del torrente, cercando di mantenere quota, raggiungiamo le tracce di salita che ci portano prima alla forcella dal Pief e poi alla cima del M. Pecol.
Giunti alla croce ci rendiamo subito conto che il versante a nord ci avrebbe regalato quello che speravamo: polvere di ottima qualità dopo ben due settimane di magra! L’euforia della bella neve trovata sale (primo errore).
Pronti per la discesa, due foto di rito, ed analisi veloce su quale linea prendere.

Tenuto conto che il bollettino dava “rischio marcato e rischio di valanghe a lastroni sui pendii ripidi esposti a nord con forti sovraccarichi sopra il limite del bosco ”, ma che cornici grosse non vi erano, che gli apporti da vento non sembravano marcati, decidiamo di assaggiare la discesa direttamente. Scendo per primo, con reverenza, faccio pochi metri, un paio di curve, non sento rumori o sensazioni strane, e do l’okay.
Fatti 100 m mi fermo ad aspettare gli altri, ormai il limite del bosco lo vedo. Mi fermo al lato di un dosso, non proprio in cima (secondo errore) su un terreno non ripido ma oltre “la soglia” dei 30 gradi (direi sui 35 circa). Arriva Manu, arriva Petra. Riparto senza aspettare l’arrivo di Mario (terzo errore). La linea di discesa diretta, che al momento mi sembrava la più logica, stava appena sulla sinistra a prendere un canale largo, ma per qualche motivo, magari tentato dalla bella neve, tiro dritto per il canalino sotto di me che punta una radura quasi quasi piatta (quarto errore).

Uscito dal canalino sento una fortissima botta da dietro. Penso, cazzo, qualcuno mi è venuto addosso. Neve da tutte le parti. Sento di essere spinto e trascinato. Vedo solo tanta neve. E’ una valanga. D’istinto mi viene da cercare la maniglia dell’ABS … ma mi sto già fermando. Ho la maniglia in mano ma non la tiro. Sono fermo e vedo il cielo. Non mi riesco a muovere. Però sono intero. Urlo “sono qui!”. Vedo che c’è sangue un po’ dappertutto. Veloce arriva Mario che in breve, con la pala, mi disotterra. Arrivano anche Emanuele e Petra.


Mentre gli altri cercano uno sci, mi riprendo. Tiro via il casco e controllo i danni. Non troppi ma non si può dire “nulla”. Ho freddo. Voglio solo scendere a valle. Chiedo cosa è successo, mi dicono che uno era caduto (quinto errore), nella caduta si era staccato un lastrone che a sua volta aveva fatto staccare il lastrone che mi aveva colpito. Una 40na di cm di spessore.
Appena mi trovano lo sci mancante chiedo che mi portino giù e così scendiamo velocemente, sci ai piedi verso Meida, l’ambulanza e l’ospedale.
In questi giorni di convalescenza, ho ripensato spesso all’accaduto. Ho riletto molti libri su valanghe e comportamento, casualità ha voluto che mi arrivasse a casa anche un libro ordinato alcune settimane fa, “Freesking” di Jimmi Odén. Bel testo. Anche lui molto didattico. Lo consiglio.