Non voglio scrivere l'OT dell'off topic, ma visto che si è andati a parare sul discorso settore pubblico, sottolineo quella che secondo me (per esperienza sul campo) è la maggiore tara, ossia la riforma Bassanini della P.A..
Prima di questa sciagurata riforma (accolta allora come una svolta rivoluzionaria e decisiva) gli atti autorizzativi erano firmati da sindaco, assessore, presidente di ente, ecc.
E chi lo faceva se ne assumeva la responsabilità politica e sostanziale. A suo rischio e pericolo, ma con il sostegno implicito di chi lo aveva votato.
Da allora devi avere a che fare con istruttori e dirigenti (e non parliamo sempre del megadirettore generale, ma anche di gente che prende 1300 al mese più indennità per la funzione direttiva e arriverà a 1800-2000) che spesso e volentieri in caso di dubbi o - anche più spesso - malafede interessata, ti sparano la classica frase "ma per questi quattro soldi chi me lo fa fare di firmare?".
E non vale neanche il discorso di denunce e richieste di licenziamento; la prossima volta la vostra pratica risulterà dispersa in archivio.
Un sindaco o un assessore sollecitato da un elettore e che cerca di fare una minima pressione può finire denunciato per mobbing o abuso d'ufficio. Un casino senza uscita.
Io sono favorevole all'abrogazione totale della riforma ed a riportare il potere decisionale in mano al politico eletto. Con relativi onori ed oneri.
Trasposto il tutto al caso di specie, ossia quello universitario, al netto del fatto che l'ambiente è di quelli autoreferenziali dove in genere se la cantano e se la suonano tra di loro, sono favorevole alla chiamata diretta in presenza di una serie di requisiti minimi indispensabili e normati.
Sarà poi un problema del professore o del direttore di dipartimento giustificare agli organi di controllo (che devono necessariamente esistere) di aver assunto un incapace perché suo amico o sodale.
Tutto quanto in ogni caso non può prescindere da due prerequisiti: onestà e assunzione di responsabilità. Quest'ultima in particolare non risulta presente in molti dei DNA che popolano la penisola.
Prima di questa sciagurata riforma (accolta allora come una svolta rivoluzionaria e decisiva) gli atti autorizzativi erano firmati da sindaco, assessore, presidente di ente, ecc.
E chi lo faceva se ne assumeva la responsabilità politica e sostanziale. A suo rischio e pericolo, ma con il sostegno implicito di chi lo aveva votato.
Da allora devi avere a che fare con istruttori e dirigenti (e non parliamo sempre del megadirettore generale, ma anche di gente che prende 1300 al mese più indennità per la funzione direttiva e arriverà a 1800-2000) che spesso e volentieri in caso di dubbi o - anche più spesso - malafede interessata, ti sparano la classica frase "ma per questi quattro soldi chi me lo fa fare di firmare?".
E non vale neanche il discorso di denunce e richieste di licenziamento; la prossima volta la vostra pratica risulterà dispersa in archivio.
Un sindaco o un assessore sollecitato da un elettore e che cerca di fare una minima pressione può finire denunciato per mobbing o abuso d'ufficio. Un casino senza uscita.
Io sono favorevole all'abrogazione totale della riforma ed a riportare il potere decisionale in mano al politico eletto. Con relativi onori ed oneri.
Trasposto il tutto al caso di specie, ossia quello universitario, al netto del fatto che l'ambiente è di quelli autoreferenziali dove in genere se la cantano e se la suonano tra di loro, sono favorevole alla chiamata diretta in presenza di una serie di requisiti minimi indispensabili e normati.
Sarà poi un problema del professore o del direttore di dipartimento giustificare agli organi di controllo (che devono necessariamente esistere) di aver assunto un incapace perché suo amico o sodale.
Tutto quanto in ogni caso non può prescindere da due prerequisiti: onestà e assunzione di responsabilità. Quest'ultima in particolare non risulta presente in molti dei DNA che popolano la penisola.