Conosciamo meglio il Diretur!
Diretur, hai mai provato gli sci ed in particolare gli sci fat? Che cosa ti porta a surfare la neve fresca anzichè sciarla?
Io sono uno snowboarder della vecchia generazione, uno di quelli che ha iniziato a fare monosci perchè in neve fresca si sciava più veloce. Il mio percorso di rider (la parola sciatore, snowboarder, monosciatore, sci-alpinista, telemarker, climber, alpinista mi vanno strette) parte dallo sci alpinismo, per passare allo sci fuoripista con gli impianti (allora, negli anni 80', il freeride si chiamava "sport de la glisse") poi al monosci e infine allo snowboard.
Ho passato forse 7-8 anni senza sciare nemmeno una volta, allora essere snowboarder significava ribellarsi a un certo modo di sciare, di intendere la montagna, lo sport, la vita forse. Allora incontrare un'altro snowboarder era un evento che valeva la pena di festeggiare con una sosta, con qualche discesa insieme o con una birra a fine giornata. Essere snowboarder allora era una scelta di vita, una filosofia, esagero... una missione.
Allora essere uno snowboarder significava, davvero, essere un Cavaliere della Polvere.
Era un epoca che ora è perfino difficile immaginare, a qualcuno apparirà ridicolo o incomprensibile, eppure così era.
Poi c'è stato il momento in cui ho studiato all'ISEF, e avevo voglia di sperimentare la possibilità di migliorarmi sistematicamente con l'allenamento. Quello è stato il momento dell'agonismo con lo snowboard, le gare ISF e il Pro tour, con dei bei risultati raggiunti con metodo e pazienza e tantissimo allenamento in slalom. Poi ho scoperto che non valeva la pena spendere tutto quel tempo e quel denaro per viaggiare facendo le gare e sono tornato a sciare fuoripista come volevo, con una serie infinita di ripetizioni di discese ripide, di salite classiche dell'alpinisno in quota fatto in discesa con lo snowboard.
Quello era anche un modo di prendersi gioco degli "alpinisti integralisti" dell'epoca, fargli snowboard intorno con un pile verde fluorescente, mentre loro salivano legati, con il casco e i pantaloni rossi con le toppe. Era figo. Quella mi sembrava la libertà, allora.
Poi, per farla breve, è passata la fase in cui essere snowboarder significava essere "contro", perchè non c'era più niente "contro" cui sciare o ribellarsi. Lo snowboard era stato integrato, metabolizzato, consumato forse. Quello è stato il momento in cui ho ricominciato a sciare, per puro piacere personale e per progredire ancora, ma con gli sci sciancrati era talmente facile che non era neanche così divertente. Per uno che veniva dall’agonismo con le tavole hard la superconduzione era già roba vecchia, banale, passiva.
Ho ricominciato quasi subito con gli sci superlarghi, quando ancora tutti dicevano che ero un fesso e che non ci si poteva sciare. Poi sono arrivati dall’industria gli sci meno sciancrati ed i longboard, ed io ero lì, già pronto. All'epoca (1993 circa) lavoravo per Scott, e Harvè Mainent, il guru e profeta degli sci fat, riusciva sempre a farmi guardare un po' più avanti, al futuro del freeride e della costruzione degli attrezzi. Mi ha insegnato un sacco di cose, davvero.
Adesso mi piace tantissimo sciare con gli sci da telemark, perchè ho molta più sensibilità, libertà rispetto agli sci "alpini" e perchè per me sciare rimane un fatto fisico, di forza, di equilibrio, di sensibilità. Sciare a tallone bloccato adesso non mi fa “sentire” la neve, come se i miei assi sparissero nel buio 30cm oltre tallone e punta.
Gli sci che uso normalmente per il telemark sono 189 cm x 110 di larghezza al centro, K2 Hippy Stynx, quindi grassi e lunghi a sufficienza.
Che cosa hai provato la prima volta che hai visto Free.rider in una edicola? E non hai mai acquistato un numero di Free.rider in edicola?
Penso di averlo raccontato su un numero di FREE.rider, forse un editoriale, come è andata con il primo numero. Quando ho avuto in mano per la prima volta, stampata la rivista, mentre tornavo tra Torino e Bergamo, mi sono fermato a tutti gli autogrill per leggermelo in pace, come se non lo avessi fatto o scritto io. Poi lungo la strada mi ha chiamato al telefono Marco Siffredi, gli ho detto della rivista e mi ha risposto che ormai non avrei più surfato in neve fresca, che ero passato dall'altra parte della barricata.
La sensazione più bella che ricordo legato alla prima uscita è collegata alla soddisfazione di avere fatto una cosa che quasi tutti consideravano impossibile, irrealizzabile, troppo difficile, inadatta al mercato italiano. E' stata una soddisfazione unica, vedere tutte quelle facce di culxo inghiottire il proprio rospo e vederli chiamare per comprare pubblicità, proporre articoli, atleti, se stessi...
Di FREE.rider in edicola ne ho comprati una quantità enorme, perchè è difficile da credere ma succede (succedeva, adesso è più difficile) che FREE.rider stampato arrivasse prima in edicola che a casa mia. Mi viene da ridere quando sento gli abbonati che si lamentano, sapessero quanti ne ho comprati io in edicola!
Una volta per andare all'ispo ho dovuto girare tre o quattro edicole a Trento per comprarne una decina da avere a disposizione per le aziende. 50 euro buttati, è una cosa che all'inizio mi faceva imbestialire, adesso se ci penso mi fa solo ridere. Mi fa un po' pena e un po' tristezza, e un po’ mi rende felice, mi fa rendere conto della vera dimensione delle cose. FREE.rider è un piccolo progetto, tutto sommato.
Quale è stata la copertina che ti ricordi con più piacere di Free.rider?
La copertina del numero uno, credo perchè è la numero uno. Ma anche una cover di Myriam Villar-Lang sul telemark, colore giallo oro con il mare sullo sfondo e uno sciatore in shilouette. Oppure un FREE.styler con una foto di un rail con uno sfondo nero di Elina Sirparanta.
Escludendo la discesa del Couloir Chamoux quale è stata la più bella discesa che ricordi? E in territorio italiano? E nelle Dolomiti?
Al Cho Oyu ho compiuto una discesa difficile, tecnicamente non paragonabile a tante altre fatte sulle Alpi, non così difficile, ma in un luogo assolutamente "remoto", su una parete mai scesa, su una linea che ho scovato io.
Andare in Himalaya e togliersi dalla traccia battuta non è come infilarsi nell'Holzer o su una linea a Chamonix dove passano tutti. Li hai anche l'incognita della quota, della difficoltà a fare qualsiasi cosa, non solo di sciare. Sei veramente solo.
Quello è uno dei momenti in cui ho sentito il pieno possesso della mia vita, ma ce ne sono tanti altri, anche sulle montagne di casa. Anzi, soprattutto lì, sulle Orobie. Oppure sulle grandi classiche del Monte Bianco, del Vallese, del Bernina. Dal punto di vista ambiente, forse l'Alaska è il luogo più affascinante, speciale, vero.
Dopo la lunga e dolorosa riflessione su di una... sola ruota... cosa ha deciso di fare con la rivista per il futuro? Scriverà ancora di POWDER nel mondo come la vede... oppure si limiterà a godersela senza più scriverlo per noi?
Quella del monociclo è una storia con cui ho cercato di spiegare a lettori e soprattutto al mio editore come mi sono sentito io lo scorso anno. E' stato il miglior risultato posibile, il miglior modo di scrivere e di dire alla mia portata, per condividere alcune delle cose che ho sentito io lavorando a FREE.rider con tutti quelli che ne sono coinvolti: editore, autori, lettori, dipendenti, chiunque ci graviti intorno.
Il punto di vista dei lettori è spesso distorto da una realtà che non conoscono o che sovrastimano. Io non posso venire a raccontare ai lettori i miei personali problemi di lavoro con la casa editrice, non sarebbe nè corretto, nè utile, nè pratico. Credo che nessuna persona intelligente vada a scrivere in un forum dei suoi problemi o delle sue vertenze con il proprio datore di lavoro, così non mi sono messo a dare spiegazioni superflue ai lettori. Non è con le chiacchiere o con lo scaricabarile che si risolvono i problemi.
Allo stesso tempo però nessuno con un lavoro normale trova dei giudizi sul proprio operato (o presunto tale, mi riferico alle supposizioni assurde) in un forum. A me succede, e spessissimo sono cose che fanno ridere, scritte da chi pretende di sapere e non conosce ne la realtà ne i miei fatti personali. C'erano dei post'questa primavera su questo forum che facevano incazzare.
Cose dette senza cognizione di causa, cattiverie, arroganze. Non è che gli dia molto peso, a dire il vero. Però con lealtà, schiettezza, determinazione cerco di dire le cose che penso, senza paura, senza mezze misure. Cerco di risolvere i problemi, di andare al nocciolo delle cose. Possibilmente con stile, con distacco, senza rabbia o aggressività. Chi doveva capire l'editoriale sul "monociclo" ha capito, stai tranquillo.
Fare questa rivista è un lavoro, non un hobby.
Io ho tre figli ed una moglie a carico, anche se sembro un caxxone in giro per il mondo a sciare, ho le mie responsabilità, i miei impegni, le mie scadenze. Come tutti. Se lo scorso anno alcuni numeri non sono usciti al momento giusto è perchè c'erano altri impegni, altre priorità da rispettare, altri problemi da risolvere. Io ho dato le mie priorità, ho cercato di rimettere in equilibrio il mio impegno con quello che ricevo di ritorno, sia in ternini emotivi, di soddisfazione personale, che economici. Ognuno ha le sue priorità, non sempre le mie, quelle dei lettori, delle aziende e della mia casa editrice, coincidono. Questo è, eventualmente, il problema.
Io volevo sapere cos'è che ti ha spinto fino a qui, per prima cosa e sopratutto qual'è la storia che ha portato alla creazione della rivista.
Io sono appassionato di libri, di letteratura di montagna e di riviste. Sono appassionato di neve fresca e mi piace imparare a fare delle cose nuove. Mi piace provare a fare delle cose che si possono fare solo con impegno, studio, determinazione, metodo. Una rivista come FREE.rider non c'era, per questo è nata. Perchè c'è gente che ha voglia di leggerla, che la aspetta così com'è. E’ per chi scia in modo diverso, fuori traccia.
A me piacerebbe farla in un altro modo, meglio direi, o più radicale, ma è difficile trovare un punto di equilibrio. Quello che vedi sulla carta è il risultato di una continua ricerca di equilibrio, mettere in edicola una rivista è delicato come creare un prodotto che ha la sua storia, la sua personalità, il suo carattere.
Sei tu direttore editoriale che la crei, eppure sono i lettori o le aziende influenzano la sua storia, il suo futuro in modo determinante.
La storia della rivista è semplice: ho fatto un progetto, un business plan, l'ho sottoposto alla casa editrice che mi sembrava più adatta e ho cercato di guadagnarmi la fiducia di chi ci metteva dei soldi sopra. Ho pensato, fatto e venduto, e questo è di base quello che continuo a fare. Ho iniziato a lavorarci a tempo pieno, seppur dell’esterno della casa editrice, attraverso la società che ho creato autonomamente. Appena mi è stata data una possiblità ho cercato di lavorare e di dimostrare che i calcoli, le supposizioni e le previsioni che avevo formulato coincidevano alla realtà.
Poi la rivista è partita, come accade a tanti progetti che decollano. Lungo la strada ci sono stati alti e bassi, come è normale che accada a tutte le partnership o alle collaborazioni, ma quelli dipendono dal proprio background e dalla difficoltà del cammino.
Un po' come quando ti sposi con qualcuno, alti e bassi, a volte generati da motivi assolutamente imprevedibili, ne hanno tutti. Quando prometti "fin che morte non ci separi" mica sai quello che succederà. Qualcuno riesce a risolvere i problemi rimanendo insieme al proprio partner, altri mollano prima.
Io e Vivalda lavoriamo insieme da 7 anni, fino che c'è rispetto c'è voglia di fare, di migliorare, di lottare. Comunque globalmente abbiamo avuto un sacco di soddisfazioni incredibili, i bassi sono legati a altri fattori contingenti, altre situazioni, altre realtà collegate. Dei bassi, eventualmente, dovresti parlare con il mio editore...
Un bel report sulla valgardena? (ho preso per la prima volta in assoluto il n°27, quindi se già c'è, niente)
Si possono fare tutti i report del mondo. Il vero problema è farli, appunto. Pensarli, scriverli, realizzare le foto. Mettere in sintonia testi e foto con quello che si vuole dire, con il proprio messaggio, e possibilmente rimenere nella linea editoriale della rivista. E' meno semplice di quello che sembra alla fine, comunque noi da sempre, siamo aperti a tutte le collaborazioni. Basta chiedere a Martino, se non è vero. Ed eventualmente come si fa, visto che a lui viene piuttosto bene...
Qual'è il motivo che ti spinge a decidere di scendere da un 8000 invece che magari da un 6000 ma esteticamente più bello?
Se tu mi fai una lista di montagne e di linee sciabili esteticamente più belli del Couloir Chamoux allo Shishapangma, sono pronto a risponderti ed evenualmente anche ad andare a sciarli. Ma secondo me sei un po' influenzato dal "sentito dire", dai luoghi comuni degli alpinisti.
Hai guardato bene la linea del Couloir Chamoux? Io non è che vado su una montagna di 8000 metri invece che su una bella linea estrema sulle Alpi, ad esempio. Io faccio generalmente tutte e due le cose, solo che buonaparte delle cose che faccio in montagna con lo snowboard sul ripido non le racconto, non le condivido. E'abbastanza semplice, alcune cose le racconto in un blog, con articoli, con foto, come parte del mio lavoro di snowboarder e alpinista, altre no. Le faccio solo per me, per il gusto di farle.
Comunque per il prossimo anno a parte il Couloir Chamoux, che è un progetto che non voglio mollare, ho in cantiere un’altra spedizione su montagne di 7000 metri inviolate, mai salite prima, e ovviamente mai sciate.
Ma le montagne di 8000 metri rimangono un mondo a parte, una sfida a se stante. Li veramente sei vicino al limite dell’essere umano, della fisiologia. Non è solo una questione tecnica, è una sfida di endurance, di testa, di maturità, di determinazione. Una montagna di 8000 metri con lo snowboard è un vero banco di prova, un progetto limite. Un avventura. A 6000 metri è sport, forse performance, in qualsiasi caso una cosa diversa, meno radicale.
Ti piacciono di più le bionde o le brune??
Brune, occhi chiari, in genere. Possibilmente magre e tettone.
Come ti poni di fronte al fenomeno commerciale del termine "free" usato come veicolo per vendere di più? Come ci si dovrebbe comportare con tutti i nuovi e impreparati sciatori che per un fatto di moda si sono avvicinati al nostro (o forse è il caso di dire TUO) mondo?
Non è che noi possiamo tenere tra le mani il destino del mondo. E' normale che quando un fenomeno, una attività sportiva diventa un fatto di società, di costume, nella quantità generale delle persone che si avvicinano arrivano anche persone meno motivate, meno interessanti, meno stimolanti, meno innovative o creative. E' il destino delle cose, ci sono i pionieri e ci sono gli ultimi arrivati. Ma questo non significa che chi si sente parte del nocciolo storico di una attività, del suo zoccolo duro, deve chiudersi, disprezzare gli ultimi arrivati.
Al contrario. Bisognerebbe aprirsi, dialogare, condividere. Accettare il tempo che passa e l’evoluzione delle cose. Non è facile, perchè se un ragazzino si avvicina al freeride per moda e non conosce la storia, la genesi di questo movimento, è inevitabile che si trasformi in un fenomeno di consumo, in un circo, in una cosa usa e getta. In effetti è già così.
Penso al freestyle, alla new school, alla motivazione dei pionieri e alla loro storia fatta di condivisione, di ribellione e di novità e poi guardo alle cose che sento girando tra gli snowpark dai ragazzini più giovani o che leggo su articoli scritti da chi si spaccia per un leader storico del freestyle italiano... ma va bene lo stesso, così va il mondo.
In fondo basta allontanarsi un po' dalla traccia per trovare spazio pr tutti. Basta un po’ di pazienza, tra qualche anno o qualche mese questi non ci saranno più, faranno altro, qualcosa di più figo. Tra qualche anno essere freestyler o freerider non sarà più di moda, i "poseroni" torneranno da sono venuti. Già è così, spesso in snowpark o sulle linee in neve fresca c'è meno gente che all'aprè ski nel pomeriggio. E' l'evoluzione delle cose, bisogna comprenderla per quello che è. Ed eventualmente sbattersene, consapevoli della vera storia delle cose.
Cosa ti ha spinto ad usare la zeppelin e come curi l'attrezzatura?
La Zeppelin è una macchina da guerra, in ogni situazione. E' versatile, facile, manovrabile. In fresca normalmente uso tavole di 172/174, ma per un uso polivalente entro-fuoripista, la Zeppelin non ha paragoni. Curo l'attrezzatura con attenzione, precisione, però senza essere maniacale.
L'idea di poggiare le lamine e la soletta su un rail mi fanno accapponare la pelle, ma ho una tavola e gli sci dedicati per i rail (da quando mio figlio ci sale sopra), a forza di dai e dai mi ci sono abituato a togliere le lamine, anzichè a farle...
C'e' la speranza che la rivista diventi mensile? Almeno per la stagione invernale.
Non c'è senso ne spazio in italia per una seria rivista mensile dedicata al freeride. Le aziende vorrebbero una rivista mensile, ma guardando l'andamento delle ultime stagioni e il numero di praticanti in circolazione, direi che in modo assoluto non c'è possibilità di avere una rivista mensile. Non c’è senso e non c’è convenienza.
Noi ci abbiamo provato all'inizio, ma io sono il primo a sostenere che è un controsenso, perchè con dei numeri di distribuzione limitata si rischia di lavorare il doppio e raccogliere la metà. Inoltre, personalmente, preferisco una rivista di qualità da archiviare e tenere in libreria come un libro, piuttosto che un giornale con notizie che posso al 90% reperire in internet, o peggi ancora inutili. A qualcuno interessa sapere delle composizioni dei team, dei pettegolezzi degli atleti, dei risultati delle gare o di quante birre il tale pro si è bevuto nel party del tale evento? A me no, sinceramente.
Ci sono stati momenti di debolezza in cui hai pensato di mollare la rivista?
Fare la rivista è un lavoro, ci sono alti e bassi, come in tutti i lavori. FREE.rider è una cosa che sento mia, quindi ad ogni difficoltà ho sempre cercato di trovare una soluzione, a volte usando la pazienza, altre il dialogo, altre ancora, semplicemente, incazzandomi come una jena con chi di dovere oppure lasciando perdere in silenzio, mandando giù rospi. Fa parte del gioco.
Fare FREE.rider è un bel lavoro, tutto sommato è il mio mondo, al ritmo e con i tempi che vanno bene a me. Posso sciare, viaggiare, lavorare come istruttore, maestro o ski guide, combinare questo lavoro con altre cose che mi piacciono. Fino a che sarà possibile andrò avanti, quando non lo sarà più mi inventerò qualcos'altro. Le idee non mancano. In fondo se ho fatto nascere una rivista, ne posso fondare quante ne voglio, lavorare con chi voglio.
FREE.bike, adesempio. Sono un freelance, un lavoratore autonomo, mollare FREE.rider significherebbe riominciare con qualcos’altro.