Terzo capitolo della miniserie sui luoghi comuni del mondo dello sci. Per una premessa generale, rimando al primo capitolo.
Partiamo dall’esplosività: se è esplosivo, è rapido e repentino. Se è rapido e repentino, significa che modifico rapidamente il mio assetto, creando forze che poi in qualche modo dovrò gestire. Un po’ come sterzare bruscamente con l’auto sulla neve: l’auto perde aderenza, e dovrò in qualche modo gestirla. Se invece riesco a sterzare in modo progressivo eviterò di applicare forze troppo intense per essere gestite, e sarà più semplice riuscire a terminare la curva senza lanciare l’auto nel muro.
In modo similare, sugli sci ho trovato poco utile un movimento brusco e molto più redditizio un movimento progressivo e il più fluido possibile, che modifica le forze poco per volta, dandomi tempo e modo di gestire gli equilibri correttamente. Quindi non mi tuffo da nessuna parte, eventualmente recupero la centralità se l’ho persa, ma cerco di farlo in modo graduale e non in modo brusco.
Il secondo punto che voglio affrontare è la fase del salto che si deve fare per tuffarsi da uno scoglio. Ci ho messo un po’ a individuare questo problema, e da fuori non è così evidente, quindi nessuno riusciva a notarlo; l’ho intuito quasi per caso. Nel momento in cui facevo il mio fantomatico tuffo, spingevo con le caviglie dentro agli scarponi, come se volessi saltarne fuori: gli scarponi sono della taglia giusta e mi tenevano il tallone in sede, ma di fatto mi ritrovavo ad aprire la caviglia proprio in una fase in cui invece avrei dovuto chiuderla (e qui torniamo al capitolo 2). Sull’apertura di caviglia in questa fase ho già scritto, quindi non mi ripeto.
Quindi, riassumendo, tenendo le caviglie chiuse non dovrebbero verificarsi arretramenti da recuperare. Qualora si verificassero, meglio recuperarli in modo progressivo piuttosto che con un “tuffo” brusco, che fa più male che bene. Nel portarmi avanti, faccio attenzione a chiudere la caviglia in modo da tenere il tallone a contatto con la soletta dello scarpone.
Non so se io sia l’unico ad aver capito male questo messaggio del “tuffo” o se sia un problema comune: ne ho voluto parlare con voi proprio per capire se anche altri hanno recepito male il messaggio.
Il tuffo
Si sente spesso parlare di “tuffo” verso l’avanti/interno della nuova curva. Sono cresciuto in una città di mare, di quelle dove vai “ai bagni” tutti i giorni da giugno a settembre (poi a un certo punto della vita mi sono stufato e mi sono trasferito ma non è questo l’argomento). Non sono mai stato un agonista, ma qualcosa sui tuffi l’ho imparato. Per esempio che per tuffarsi si caricano le gambe e poi si salta, in modo esplosivo, usando tutti i muscoli della gamba, compresi i polpacci. E qui mi fermo perché è tutto ciò che mi interessa per dire che parlare di “tuffo” a inizio curva secondo me porta a fraintendimenti.Partiamo dall’esplosività: se è esplosivo, è rapido e repentino. Se è rapido e repentino, significa che modifico rapidamente il mio assetto, creando forze che poi in qualche modo dovrò gestire. Un po’ come sterzare bruscamente con l’auto sulla neve: l’auto perde aderenza, e dovrò in qualche modo gestirla. Se invece riesco a sterzare in modo progressivo eviterò di applicare forze troppo intense per essere gestite, e sarà più semplice riuscire a terminare la curva senza lanciare l’auto nel muro.
In modo similare, sugli sci ho trovato poco utile un movimento brusco e molto più redditizio un movimento progressivo e il più fluido possibile, che modifica le forze poco per volta, dandomi tempo e modo di gestire gli equilibri correttamente. Quindi non mi tuffo da nessuna parte, eventualmente recupero la centralità se l’ho persa, ma cerco di farlo in modo graduale e non in modo brusco.
Il secondo punto che voglio affrontare è la fase del salto che si deve fare per tuffarsi da uno scoglio. Ci ho messo un po’ a individuare questo problema, e da fuori non è così evidente, quindi nessuno riusciva a notarlo; l’ho intuito quasi per caso. Nel momento in cui facevo il mio fantomatico tuffo, spingevo con le caviglie dentro agli scarponi, come se volessi saltarne fuori: gli scarponi sono della taglia giusta e mi tenevano il tallone in sede, ma di fatto mi ritrovavo ad aprire la caviglia proprio in una fase in cui invece avrei dovuto chiuderla (e qui torniamo al capitolo 2). Sull’apertura di caviglia in questa fase ho già scritto, quindi non mi ripeto.
Quindi, riassumendo, tenendo le caviglie chiuse non dovrebbero verificarsi arretramenti da recuperare. Qualora si verificassero, meglio recuperarli in modo progressivo piuttosto che con un “tuffo” brusco, che fa più male che bene. Nel portarmi avanti, faccio attenzione a chiudere la caviglia in modo da tenere il tallone a contatto con la soletta dello scarpone.
Non so se io sia l’unico ad aver capito male questo messaggio del “tuffo” o se sia un problema comune: ne ho voluto parlare con voi proprio per capire se anche altri hanno recepito male il messaggio.