maremonti
Well-known member
“Casomai hai qualche chiodo? Si potrebbe fare un’alpinata, ma in discesa.”
“Niente chiodi purtroppo.”
“OK, perché ho un progettino sul Sella: linea bellissima, ma con disarrampicata, calate e roba”.
Quando Franz adocchia una linea, e sospetta che sia in condizione, è difficile togliergliela dalla testa. Io i chiodi non li ho, ma questo non basta a dissuaderlo e lui ci mette un attimo a trovarli. Li prende in prestito da un amico, con la promessa che li pagherà solo se li abbandoneremo durante la discesa.
A Franz piace il ripido, tanto. Anche a me piace, ma forse non sono altrettanto forte.
Sentir parlare di progetti su linee sconosciute e su cui non esistono informazioni, in un periodo di magra e in cui sto sciando poco e ancora meno sul ripido, qualche dubbio me lo fa venire.
Poi, come al solito, basta una foto della linea e un’appena accennata insistenza del socio a farmi mettere da parte i pensieri in favore dell’avventura. Tutto deciso, domenica si va a vedere.
La sveglia suona con calma, faccio stretching finché non sento la moka gorgogliare. Dalla finestra non si vede una nuvola, e il cielo è di un blu quasi artificiale. Un bacio a Giulia ed esco, con la promessa di usar la testa.
Sono in ritardo, come al solito, ma anche Franz lo è. Ha dimenticato la pala a casa.
Ormai a passo Sella, la linea misteriosa si lascia finalmente intravedere. È più bella che in foto, e fa anche più paura. Il binocolo rivela però che l’ingresso dovrebbe essere meno un ravano del previsto, la copertura sembra ottima, e la linea è assolutamente invitante.
Una sciata assolata e rilassante sulle piste intorno al Lupo Bianco ci porta alla funivia del Pordoi.
D’obbligo il caffè in cima, come d’obbligo è la sigaretta antistress al sole prima di partire.
La traversata verso il Piz Miara vola, tra panorami gloriosi, chiacchiere spensierate, e un sole primaverile che scalda la faccia con qualche mese di anticipo. Il canale è stretto e esposto a ovest, non prende il sole prima dell’una e noi non vogliamo affrettare i tempi. Ci prepariamo con calma. Mettiamo l’imbrago, diamo un morso alla barretta, blocchiamo l’attacchino. L’ingresso nel canale, scalettando con attenzione aiutandoci con la picca in mano nel punto in cui la cornice è meno pronunciata, ci fa capire che oggi non si scherza. Pennelliamo qualche curva sulla neve gessosa, ci godiamo le condizioni meno pessime del previsto anche all'ombra, e, usciti dal canale, imbocchiamo la cengia che porta a sinistra, lasciandoci alle spalle il classico itinerario del Piz Miara.
Finalmente la vediamo da sopra, ed è bellissima. Ha solo bisogno di maturare ancora una mezz'ora. Poco male, ci godiamo il sole, il tè e lo snus che ho portato per fare un regalo a Franz.
Calziamo i ramponi, impugniamo la picca ed entriamo disarrampicando. Ormai siamo in ballo, e iniziamo a ballare su un firn cotto a puntino, già felici del nostro tempismo e pronti a scoprire cosa questa linea abbia in serbo per noi.
Euforici, o “gasati vez” come continua a ripetere il socio, ci lasciamo trasportare dal pendio fino al primo salto. Contempliamo la possibilità di aggirarlo per una magra cengia, ma la neve sembra terribile, la pendenza tanta, e l’esposizione anche di più. Vada per la calata. Il primo spuntone che attira la nostra attenzione è troppo difficile da raggiungere, il secondo è troppo in alto per i 70m di corda che abbiamo nello zaino, e ripieghiamo per un sasso piatto, non certo ideale ma che ci convince a fidarci. Passiamo un cordino da abbandono, e parto verso il verticale. La corda va in tensione, la sosta non si muove, fin qui tutto bene.
Franz mi raggiunge velocemente, e via a inanellare curve dandoci il cambio al comando, rallentati solo da una strettoia ghiacciata.
Usciamo dal punto più asfissiante, buio e ghiacciato giusto in tempo per goderci gli ultimi raggi del sole che entra nel canale prima di sparire dietro le montagne. Inizia a far freddo, e dobbiamo sbrigarci ad attrezzare la seconda, inevitabile calata. Troviamo delle fettucce marce, segno che non siamo stati i primi a subire il fascino questo itinerario tanto bello quanto nascosto. Iniziamo ad assaporare il successo, ma non dobbiamo farci distrarre. Mi concedo pure un tanto detestato selfie, un po' perché sto sorridendo da ogni poro e perché sono particolarmente fiero delle trecce da sci, che mi sono fatto per la prima volta da solo questa mattina.
Non ci fidiamo, raddoppiamo il cordino con qualche peripezia e via in verticale ancora una volta.
Aspetto Franz sotto al masso incastrato, tolgo gli occhiali per vedere meglio nella luce calante, e faccio su la corda velocemente per battere sul tempo l’oscurità incalzante.
Ultime curve saltate prima degli ultimi, dolci pendii. Non ce ne capacitiamo, è quasi polvere. Arriviamo alla strada, abbiamo giusto il tempo di riguardare il poco della linea che ancora si concede alla vista e di abbracciarci entusiasti prima d'intercettare un turista benevolo che ci carica in macchina e ci riporta al passo.
L’unico modo giusto per finire la giornata sarebbe a birre e THC, ma Franz deve scappare a Monaco e io mi sono auto imposto l’astinenza da sostanze psicoattive per un po’. Peccato, oggi ce le saremmo meritate.
La morale è semplice.
Le Dolomiti sono di una bellezza commovente.
Un socio creativo, motivato e con cui c’è feeling è una bella cosa.
L’avventura, quando non ti bastona, appaga in modo duraturo e profondo.
F.
“Niente chiodi purtroppo.”
“OK, perché ho un progettino sul Sella: linea bellissima, ma con disarrampicata, calate e roba”.
Quando Franz adocchia una linea, e sospetta che sia in condizione, è difficile togliergliela dalla testa. Io i chiodi non li ho, ma questo non basta a dissuaderlo e lui ci mette un attimo a trovarli. Li prende in prestito da un amico, con la promessa che li pagherà solo se li abbandoneremo durante la discesa.
A Franz piace il ripido, tanto. Anche a me piace, ma forse non sono altrettanto forte.
Sentir parlare di progetti su linee sconosciute e su cui non esistono informazioni, in un periodo di magra e in cui sto sciando poco e ancora meno sul ripido, qualche dubbio me lo fa venire.
Poi, come al solito, basta una foto della linea e un’appena accennata insistenza del socio a farmi mettere da parte i pensieri in favore dell’avventura. Tutto deciso, domenica si va a vedere.
La sveglia suona con calma, faccio stretching finché non sento la moka gorgogliare. Dalla finestra non si vede una nuvola, e il cielo è di un blu quasi artificiale. Un bacio a Giulia ed esco, con la promessa di usar la testa.
Sono in ritardo, come al solito, ma anche Franz lo è. Ha dimenticato la pala a casa.
Ormai a passo Sella, la linea misteriosa si lascia finalmente intravedere. È più bella che in foto, e fa anche più paura. Il binocolo rivela però che l’ingresso dovrebbe essere meno un ravano del previsto, la copertura sembra ottima, e la linea è assolutamente invitante.
Una sciata assolata e rilassante sulle piste intorno al Lupo Bianco ci porta alla funivia del Pordoi.
D’obbligo il caffè in cima, come d’obbligo è la sigaretta antistress al sole prima di partire.
La traversata verso il Piz Miara vola, tra panorami gloriosi, chiacchiere spensierate, e un sole primaverile che scalda la faccia con qualche mese di anticipo. Il canale è stretto e esposto a ovest, non prende il sole prima dell’una e noi non vogliamo affrettare i tempi. Ci prepariamo con calma. Mettiamo l’imbrago, diamo un morso alla barretta, blocchiamo l’attacchino. L’ingresso nel canale, scalettando con attenzione aiutandoci con la picca in mano nel punto in cui la cornice è meno pronunciata, ci fa capire che oggi non si scherza. Pennelliamo qualche curva sulla neve gessosa, ci godiamo le condizioni meno pessime del previsto anche all'ombra, e, usciti dal canale, imbocchiamo la cengia che porta a sinistra, lasciandoci alle spalle il classico itinerario del Piz Miara.
Finalmente la vediamo da sopra, ed è bellissima. Ha solo bisogno di maturare ancora una mezz'ora. Poco male, ci godiamo il sole, il tè e lo snus che ho portato per fare un regalo a Franz.
Calziamo i ramponi, impugniamo la picca ed entriamo disarrampicando. Ormai siamo in ballo, e iniziamo a ballare su un firn cotto a puntino, già felici del nostro tempismo e pronti a scoprire cosa questa linea abbia in serbo per noi.
Euforici, o “gasati vez” come continua a ripetere il socio, ci lasciamo trasportare dal pendio fino al primo salto. Contempliamo la possibilità di aggirarlo per una magra cengia, ma la neve sembra terribile, la pendenza tanta, e l’esposizione anche di più. Vada per la calata. Il primo spuntone che attira la nostra attenzione è troppo difficile da raggiungere, il secondo è troppo in alto per i 70m di corda che abbiamo nello zaino, e ripieghiamo per un sasso piatto, non certo ideale ma che ci convince a fidarci. Passiamo un cordino da abbandono, e parto verso il verticale. La corda va in tensione, la sosta non si muove, fin qui tutto bene.
Franz mi raggiunge velocemente, e via a inanellare curve dandoci il cambio al comando, rallentati solo da una strettoia ghiacciata.
Usciamo dal punto più asfissiante, buio e ghiacciato giusto in tempo per goderci gli ultimi raggi del sole che entra nel canale prima di sparire dietro le montagne. Inizia a far freddo, e dobbiamo sbrigarci ad attrezzare la seconda, inevitabile calata. Troviamo delle fettucce marce, segno che non siamo stati i primi a subire il fascino questo itinerario tanto bello quanto nascosto. Iniziamo ad assaporare il successo, ma non dobbiamo farci distrarre. Mi concedo pure un tanto detestato selfie, un po' perché sto sorridendo da ogni poro e perché sono particolarmente fiero delle trecce da sci, che mi sono fatto per la prima volta da solo questa mattina.
Non ci fidiamo, raddoppiamo il cordino con qualche peripezia e via in verticale ancora una volta.
Aspetto Franz sotto al masso incastrato, tolgo gli occhiali per vedere meglio nella luce calante, e faccio su la corda velocemente per battere sul tempo l’oscurità incalzante.
Ultime curve saltate prima degli ultimi, dolci pendii. Non ce ne capacitiamo, è quasi polvere. Arriviamo alla strada, abbiamo giusto il tempo di riguardare il poco della linea che ancora si concede alla vista e di abbracciarci entusiasti prima d'intercettare un turista benevolo che ci carica in macchina e ci riporta al passo.
L’unico modo giusto per finire la giornata sarebbe a birre e THC, ma Franz deve scappare a Monaco e io mi sono auto imposto l’astinenza da sostanze psicoattive per un po’. Peccato, oggi ce le saremmo meritate.
La morale è semplice.
Le Dolomiti sono di una bellezza commovente.
Un socio creativo, motivato e con cui c’è feeling è una bella cosa.
L’avventura, quando non ti bastona, appaga in modo duraturo e profondo.
F.
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