La grande bufala II la vendetta

E la Suprema Corte di Cassazione, che del "nome" di chi accusa non gliene frega una beata mazza, rimanda tutti nella galera normale dove devono stare i ladri di polli:

https://www.repubblica.it/esteri/2019/10/22/news/siria_erdogan_minaccia_riprendera_offensiva-239175342/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-F4

Mafia Capitale, la Cassazione dice no. Cade il 416 bis


"Schiaffo" alla Procura di Roma. La procura generale della Suprema Corte aveva chiesto la conferma delle condanne che in Appello riconobbero per Salvatore Buzzi, Massimo Carminati e altri imputati le aggravanti ex articolo 416 bis di associazione mafiosa. Riconosciuta la presenza di due associazioni distinte a carattere delinquenziale, ma non la loro "mafiosità"
 
Ormai c'è il certificato con tanto di marca da bollo che fosse una storia di rubagalline.

Il tempo è galantuomo e basta aspettare sulla riva del fiume che passi il cadavere politico di chi ha vomitato insulti e prese per il culo. Salutateme la fata raggina, pare che in studio ci sia la fotocopiatrice nuova HIHIHI


Calunnia Capitale
Allora sembrava il delirio, oggi dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza con cui la Cassazione ha illustrato perché non era Mafia capitale, non era nemmeno mafia e basta, sembra solo miseria. Come ci siamo giocati Roma per due piotte

By Mattia Feltri


Io me la ricordo la desolante eccitazione del giorno d’apertura del processo di Mafia capitale. Me la ricordo la calca, la moltitudine, l’abbordaggio dei cronisti stranieri, sfrenati, eccitati all’idea di corrispondenze dalla Corleone globale per New York o Londra o Berlino. Avevano in testa Mario Puzo, quelle fascinose suggestioni, e dunque un Marlon Brando con le grinfie allungate sul Campidoglio, dunque sull’ombelico del mondo, sull’epicentro favoloso della civiltà occidentale. Ridotto a una cosca. C’era di meglio su cui pasteggiare all’ora dell’entertainment, della nostra vita civile e politica appaltata a un business plan stile Netflix?

Se ne andarono un po’ delusi, perché ancora, talvolta, in qualche carruggio di resistenza, la vita civile e politica non cede all’adescamento dello show calibrato sulla potenzialità media dei succhi gastrici: fu una lunga, protocollare, noiosissima udienza di incardinamento del processo, non ci furono confronti all’americana, doppiopetti gessati, sigari cubani, coppole, allusioni luciferine, valigie di soldi, rinvenimenti d’esplosivi, donnine in giarrettiera, mitra col caricatore rotondo, niente di niente. Il plot delle loro speranze se ne andò a ******e.

Alla fine, di Mafia capitale, nella mia memoria rimane soprattutto questa gigantesca, stomachevole calunnia di Roma. Nelle propaggini di una pavonesca inchiesta su quattro rubagalline con quartier generale in una pompa di benzina di corso Francia, o qualcosa del genere, è stata costruita una scenografia di cartone col palazzo comunale di una capitale trimillenaria, distributrice di sapienza ingegneristica, militare, giuridica, teologica, artistica, architettonica, avvolto nei tentacoli della piovra. Le avete viste le belle fiction? I film piovosi del sottoscala di Blade Runner, coi cardinali con le chiappe all’insù a spartirsi autostrade di cocaina e fanciulle in fiore col ministro e il tagliagole di Ostia? Ce lo siamo venduti bene il brand, no? Ci siamo giocato bene quel poco di decoro e di amor proprio per due piotte.

Ha ragione il sommo avvocato Cataldo Intrieri quando dice che l’opposizione al populismo giudiziario alla lunga arriva proprio dalla magistratura. Sono via via usciti dal processo, perlomeno per le mirabolanti implicazioni mafiose, l’ex sindaco Gianni Alemanno, gli assessori, gli uomini della Regione e, i pochi rimasti a risponderne, hanno risposto di faccende di corruzione che no, non è una bella cosa, ma non è mafia. Se fosse stato per corruzione non uno di quei corrispondenti di testate mondiali avrebbe piantato le tende all’alba davanti all’aula del processo per guadagnarsi la prima fila. E, infine, per certi cocciuti del bla bla e dello gne gne, alla Matteo Orfini o alla Virginia Raggi, e cioè del sì però la mafia a Roma c’è – bella scoperta, no? – è vero, la mafia a Roma c’è, come c’è a Palermo, a Milano, a Londra, a New York, ma non accoglieva i suoi mammasantissima nelle stanze dell’amministrazione comunale, e fino in quella del sindaco. Eccola la madornale differenza che ha prodotto la madornale calunnia.

Io me le ricordo le settimane precedenti la caduta del sindaco Ignazio Marino, trascinato all’autodafé su un palco del Laurentino 38 dai boss del nuovo corso della purezza del Pd, che dicevano mai più la mafia nel partito, per prenderselo e condurlo alla festa di piazza dell’Onestà. Me lo ricordo quel soldatino di piombo di Luigi Di Maio che invocava lo scioglimento per mafia del comune di Roma, come se fosse una frazione da sparatorie di Palmi. Me lo ricordo quel guappo del dopocena di Alessandro Di Battista che incitava i picciotti del Pd e del Pdl a confessare, anche anonimamente, in cambio del perdono (gulp!), per sgominare quel lordume a canne mozze. Me la ricordo l’esagitata e demente campagna elettorale, quando i contendenti si disputavano il ruolo di eroi incaricati dal destino di salire a piantare la bandiera dei liberatori, come l’Armata rossa sul Reichstag. Allora sembrava il delirio, adesso, visto da qui, dopo la pubblicazione di ieri delle motivazioni della sentenza con cui la Cassazione ha illustrato perché non era Mafia capitale, non era nemmeno mafia e basta, sembra solo miseria.

Roma è l’enormità della storia dell’uomo. Le ha sempre fatte le sue porcate, ma le ha sempre fatte in cambio della grandezza. Questa è stata fatta per piccineria, per la micragnosa disputa dell’anima candida e della vanagloria di uno strapuntino, e al prezzo della calunnia di una città che porta il titolo di eterna. Nessun delitto sarà mai all’altezza di questo rasoterra.
 

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