Parliamo di cibo Bio e "falso Bio" ?

pat

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http://www.repubblica.it/cronaca/2018/07/04/news/sequestrate_100_tonnellate_di_cibo_bio-200823120/

Premesso che certe "disavventure" vengono regolarmente riscontrate sia nelle aziende "presunte Bio" sia in quelle tradizionali, cosi' come in molti esercizi commerciali che somministrano bevande o cibo... in questo caso ritengo che ci sia un doppio inganno :
il cibo "bio" o presunto tale costa molto di piu' e l'acquirente e' piu' attento al tema della qualita' del cibo stesso e di tutta la catena del valore dalla produzione alla vendita.

Perche' negli articoli di giornale che parlan di situazioni simili NON SI FA IL NOME DELLE SOCIETA' COINVOLTE METTENDO BEN IN RISALTO ANCHE I LORO MARCHI COMMERCIALI?
 
Perché trattasi ancora di fase di indagine. Se poi saltasse fuori che c'è poco o niente di vero e reale (non è così difficile ....), lo sput*tanamento dell'azienda (e ripercussioni a seguire) chi lo paga?

Che poi, leggendo tutto l'articolo mi sembra che come al solito il titolo contraddica e di molto il contenuto effettivo.
 
Argomento che mi tocca parecchio, ma bisognerebbe scriverne un libro, non un post.

Mi limito a sottolineare una finezza molto importante.
NON è il prodotto ad essere BIO, bensì il processo di produzione.
Il prodotto da agricoltura biologica non può essere pubblicizzato come intrinsecamente migliore in quanto sottostante ai parametri qualitativi (anche per residui di agrofarmaci) di qualsiasi altro prodotto alimentare.

SI CERTIFICA IL PROCESSO, NON IL PRODOTTO

N.b: un chicco di riso da agricoltura biologica NON è distinguibile da uno da agricoltura integrata
 
Essendo nel ramo del commercio (vino) e trattando prodotti da agricoltura biologica, sono abbastanza stranito da queste notizie, e credo, perchè è già capitatoin vari settori alimentari, che buona parte di questi prodotti di dubbia provenienza siano destinati al mercato estero, dove in molti casi non richiedono grandi procedure di controllo.
In italia, e parlo di grande distribuzione, ci può essere qualche episodio poco chiaro, ma di norma le catene chiedono una tracciabilità da filiera davvero completa, che è difficile aggirare con sotterfugi.

Vi faccio un esempio: se produco vino da agricoltura biologica, devo mappare il vigneto, fornire la certificazione del mipaaf del vigneto, mantenere la vinificazione in contenitori continuamente monitorati, e legare il lotto di produzione delle bottiglie all'uva, quindi al vigneto, di provenienza, e sulle rese e i parametri di trasformazione da uva a vino sono molto precisi e molto fiscali.
Senza dubbio sui cereali è più facile, visti i parametri di calo e resa, fregare sulle quantità, e far così entrare nella massa "bio" anche materie non bio... inoltre i volumi enormi si prestano a qualche limata alle quantità.
Ma vi assicuro che in italia al momento le catene stanno facendo molta attenzione ai fornitori del biologico...

Rimane il fatto che fino a quando non istituiranno dei distretti biologici in agricoltura, ovvero zone destinate esclusivamente alla coltivazione bio, non si potrà mai raggiungere uno standard davvero alto.
Io ho un fornitore di prosecco bio che solo dopo aver acquistato 150 ettari in un unica zona ha potuto ottenere un biologico davvero pulito, usa i vigneti perimetrali non a glera (il vitigno base del prosecco) come cuscinetto, per proteggere il cuore biologico dai vicini che non necessariamente hanno terreni coltivati bio, e riesce così ad isolare la produzione bio...

Da tempo auspico che grazie ai consorzi e alla coldiretti in testa riusciremo in italia a far partire l'idea dei distretti bio, così da evitare ogni forma di contaminazione da chi, liberamente, decide di coltivare in modo intensivo.
Sopratutto per il riso e i cereali in genere, non si può pensare che se il vicino fa 50 trattamenti l'anno non arrivi qualcosa da me che gli sto di fianco e ne faccio 10 con prodotti certificati bio...
Nel vercellese molti risaioli hanno iniziato a fare bio ma hanno desistito dopo pochi anni, l'acqua delle risaie circola e sfido chiunque, ad oggi, con un'analisi specifica, a non beccare tracce di pesticidi vari in un riso biologico,infatti ci sono parametri, piuttosto alti per i cereali, da rispettare, ma nessuno può essere a valore ZERO
Oltretutto, con la nostra politica delle DOP, si farebbe piuttosto in fretta ad identificare sottozone e disciplinari per regolare la produzione biologica seriamente.

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Il prodotto da agricoltura biologica non può essere pubblicizzato come intrinsecamente migliore in quanto sottostante ai parametri qualitativi (anche per residui di agrofarmaci) di qualsiasi altro prodotto alimentare.

E aggiungo una cosa: scordatevi che BIO significhi MIGLIOR QUALITA'.
E' erroneo pensare che il prodotto bio sia migliore perchè in molti casi è il contrario, specie in anni molto piovosi, ridurre i trattamenti e giocare d'anticipo con la natura non è facile, si compromettono le rese e anche la qualità.
L'agricoltura biologica è un passo importante per la preservazione del pianeta e per eliminare pesticidi dannosi più per l'ambiente che per l'organismo, e non è quindi da considerare come indice qualitativo del prodotto.
 

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Io invece non auspico proprio una deriva BIO nel settore viticolo. Una razionale lotta integrata è decisamente più sostenibile delle palate di Rame e Zolfo che si usano nel bio.
La chimica non è la bestia cattiva, quando è giusto, è bene farne uso.

Ah, più probabile che nel BIo facciano 50 trattamenti che non nella produzione integrata.
“È naturale” , sì, ma è un metallo pesante, dove lo metti rimane per sempre.

Sulla qualità concordo, soprattutto su cereali per via di aflatossine e micotossine
 
a quanto so in trentino si utilizza quasi esclusivamente zolfo e verderame nei vigneti per conferire, più qualche trattamento spot (max 1-3) di alcuni prodotti specifici (es decis\scala\mildicut,epik --> questo per provare a prevenire la flavescenza)
 
Io invece non auspico proprio una deriva BIO nel settore viticolo. Una razionale lotta integrata è decisamente più sostenibile delle palate di Rame e Zolfo che si usano nel bio.
La chimica non è la bestia cattiva, quando è giusto, è bene farne uso.

Ah, più probabile che nel BIo facciano 50 trattamenti che non nella produzione integrata.
“È naturale” , sì, ma è un metallo pesante, dove lo metti rimane per sempre.

Sulla qualità concordo, soprattutto su cereali per via di aflatossine e micotossine

In realtà nel vino stanno cercando di ridurre al minimo i trattamenti, ma è anche questione di margini, chi produce e riesce a vendere la qualità che produce, sta investendo molto sulla prevenzione, tenendosi in pari con le variazioni metereologiche e sperimentando nuovi prodotti.
Non è sempre facile, e alcuni vanno a rispolverare i rimedi del passato, ma il problema di fondo è che non c'è ancora un piano condiviso di agricoltura bio...
Per questo auspico un giorno che tutto sia BIO, evolvendo nella ricerca e nella manipolazione genetica, in modo da mantenere sia la biodiversità, sia la capacità di intervenire sulle nuove malattie.
Sentivo poco tempo fa che hanno già la soluzione per la xilella (che è in arrivo nelle varianti che attaccano altre coltivazioni) ma è una soluzione genetica, e vallo a spiegare a quelli che pensano che l'olivo di 150 anni faccia le olive più buone di quello che ne ha 10 e resiste alle malattie...
 
Sulla necessità di un ferreo regolamento obbligatorio sulla produzione integrata sono assolutamente d'accordo. Che questo debba fondarsi sugli odierni (spesso controversi) "diktat" del BIO, assolutamente no.

ma è una soluzione genetica, e vallo a spiegare a quelli che pensano che l'olivo di 150 anni faccia le olive più buone di quello che ne ha 10 e resiste alle malattie...

del "ritorno al passato" ne ho piene le scatole. Tante cultivar sono state abbandonate nei decenni per buoni motivi, va bene recuperarne il patrimonio genico per determinati caratteri funzionali, ma riutilizzarle tal quali è delirante. Eppure se gli scrivi "grani antichi" sulla confezione, il consumatore te lo paga 5 volte , e allora via di "Senatore Cappelli" alto un metro e mezzo e con rese da terzo mondo.

Però le mele farinose non le vuole nessuno, lì niente ritorno al passato?
 
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