Per questo sabato di fine Agosto io e Giorgio torniamo ad affidarci all'esperto Fabrizio, con il quale è diverso tempo che non organizziamo un'uscita. Scelgo tra le tre opzioni che mi ventila un itinerario che avevo in mente da tempo di fare, alla conquista di una delle cime importanti delle Giulie che ancora mi manca.
La prima cima di grande rilievo delle Giulie Occidentali, arrivando dalla pianura, non si fa conquistare facilmente da nessun lato. Le sue forme così particolari impongono la scelta tra tre vie: una via normale a Sud faticosissima e da 1800m abbondanti di dislivello in pieno sole, un sentiero sperduto sull'enorme versante Nord che diventa attrezzato fino a sfociare in una via ferrata dagli scenari incredibili (ma anche qua ci vogliono quasi 2000m di dislivello positivo e possibilmente due auto), e la più abbordabile traversata dall'Altipiano del Montasio che - vista la calda giornata di fine agosto - rappresenterà la nostra scelta.
Il Monte Cimone. Non so perchè, ma l'ho sempre temuto e non l'ho mai salito. Forse ha contribuito negli ultimi tempi il grande incendio del Luglio-Agosto 2013 che per lungo tempo lascerà la sua ferita sulle pendici meridionali del monte e di tutta la Val Raccolana. Io nel giorno in cui da controllato e limitato (era già attivo da 2-3 settimane ma circoscritto a una piccola porzione del M. Jovet) è "esploso" su mezza valle ero lì, poco lontano, a compiere peraltro una gita memorabile.
Per i curiosi che volessero approfondire questa vicenda - che ritornerà poi nelle foto - segnalo questo link alla relazione tecnica, molto leggibile e chiara anche per chi tecnico non è: http://www.presidente.regione.fvg.i...nicaIncendioValRaccolanaConfStampa28ago13.pdf
Chiedo scusa se questa volta non sono riuscito a limitare ulteriormente il volume di foto da pubblicare, ma la grande giornata tersa e la particolarità dei luoghi mi impone un taglio non troppo drastico.
Partiamo quindi dal bucolico paesaggio della Malga Montasio, già discretamente popolato di prima mattina, tuffandoci subito nel "lato oscuro" dell'altipiano. Poco dietro la malga, infatti, una carrareccia si cala nel bosco a mezzacosta. In un attimo dalla luce al buio, dal rumore al silenzio, purtroppo anche (a livello vegetale) dalla vita alla morte.
Il consueto ma sempre favoloso scenario dell'Altipiano del Montasio
Si entra nel bosco, o quel che ne resta
Dopo meno di venti minuti infatti ecco che la carrareccia non v'è più, solo un selvaggio sentiero che consente all'occhio attento di notare le prime sfumature che risalgono a quell'Agosto 2013. Ma nell'euforia della splendida giornata che ci attende non ci soffermiamo più di tanto, anzi di passo veloce superiamo questi 40-45 minuti sostanzialmente pianeggianti, che avremo anche al rientro, fino al bivio con il sentiero 640.
Non passa tanta gente di qua, difatti urgerebbe una manutenzione della tratta invasa dalle erbe per non rischiare di perdere sempre più questi tracciati (e lo vedremo anche sul 641 via di discesa). Anche i cartelli sono praticamente assenti e i bolli decisamente sbiaditi ove presenti.
Anche dopo il bivio, segnale inequivocabile dell'inizio della salita vera e propria, le erbe la fanno da padrone, mantenendo quel senso di selvaggio che pian piano si affievolisce puntando verso la sempre nascosta Forca di Vandùl.
I prati dove saliremo visti dal bivio 621-640
Fabrizio con dietro il gruppo del Canin
Strane erosioni salendo verso la Forca di Vandùl
Sguardo indietro, si percepisce la tratta appena percorsa dai Piani, sospesa sulla Val Raccolana
Ecco, lo sapevo che la Forca di Vandùl era un posto interessante. Ma non potevo pensare all'emozione di quegli ultimi passi verso l'ampia forca. So che è lì perchè leggo le cartine, il territorio, volendo anche il segnale GPS. Ma fino a pochi metri prima non lo capisci, e ogni passo avanti apre un metro in più di visuale su uno scenario letteralmente mozzafiato, a mio modo di vedere uno dei più particolari della zona, peraltro densa di particolari naturalistici interessanti.
Ultimi metri verso Forca di Vandùl
Arrivano anche Giorgio e Fabrizio
Indietro, zoom meritato per il M. Forato e il Foro, a sovrastare il Bila Pec
La cresta NW del Picco di Carnizza, congiunto al M. Canin. Sostanzialmente si vedono i percorsi di 3 ferrate: Grasselli, Julia e Cenge
Il pilastro occidentale del M. Zabus
Con Fabrizio a Forca di Vandùl
Fabrizio è già stato qui diversi anni fa, Giorgio come me no. Servono dieci minuti di set fotografico per riprendere lo scenario da tutte le angolazioni. Ma quello che servirebbe davvero è un grandangolo professionale, perchè non si riesce in nessun modo - con le nostre compattine - a rendere giustizia alla visione d'insieme.
Il baratro a Nord
Ancora con Fabrizio sul margine orientale della forca
Vista interessante verso i Due Pizzi e la Forchia di Cjanalot
Giorgio e Fabrizio sull'orlo del baratro
Profili
Una volta ripresi puntiamo in direzione di Forca de la Viene e del tratto "ferrato" che ci divide dalla splendida cresta erbosa che la anticipa. Il tratto è molto semplice per chi abituato, e consente una rapida e divertente arrampicata di max I-II grado con il vantaggio dell'assicurazione da ferrata. Per chi pensasse che vista la brevità e la semplicità kit e casco siano superflui beh, si vede che non bazzica spesso in zone dove risiedono grossi branchi di stambecchi sopra la propria testa! E mentre sei lì non puoi sapere dove si sono messi oggi, magari proprio sopra la paretina. Oggi non è così, li troveremo più avanti.
Sulla ferratina troviamo in discesa un non giovanissimo sloveno di Nova Gorica senza più la suola di uno scarpone e con l'altra al limite. Per lui (partito alle 4) si prospetta ora una discesa poco divertente. Noi lo incrociamo mentre recita il "mea culpa" per aver tirato la "gita in più" con le sue pedule ormai maggiorenni.
Sulla ferratina l'incrocio con lo "scalzo" novagoriziano
Sguardo verso il pilastro dello Zabus
Prospettiva da dietro, io e Giorgio sulla ferratina
All'attacco di un paio di staffe
Fabri scala...
...e arriva al termine del breve tratto attrezzato
In pochi magnifici minuti sbuchiamo sull'erbosa cresta che collega la Forca al Pizzo Viene, ormai in vista del ricollocato bivacco Simone Del Torso, posto a breve distanza dall'uscita della ferrata Norina, proveniente dal cupo ed enorme versante Nord. Da qui ci possiamo affacciare e sognare il passaggio finale della ferrata (un camino che si fa grotta verticale) e la sensazione di essere "sputati" dal buio al sole, dalla roccia all'erba.
G & F sulla cengetta d'uscita del tratto attrezzato
Io e Giorgio
Salendo verso la cresta erbosa del M. Viene
Io e Giorgio arrivati sulla splendida cresta
La cupola sommitale del M. Cimone
Forca de la Viene e il piccolo bivacco Simone Del Torso
L'uscita della ferrata Norina
Affacciati letteralmente verso ovunque - da una parte il Montasio e l'incredibile profilo del M. Zabus, dall'altra il Canin, dall'altra ancora la cima che andremo a salire - procediamo con difficoltà verso la nostra meta, intontiti da quanto è intorno a noi.
L'incredibile parete NW del M. Zabus, sullo sfondo lo Jof di Montasio
G & F con lo stesso sfondo
Niente da fare, è troppo bello
Io e Fabrizio
Il bivacco Del Torso, dietro i Musi
L'ultimo tratto alterna in modo evidente i ripiani erbosi e le strisce rocciose caratteristiche della zona. Ma non è da sottovalutare perchè 3-4 passaggi sono da fare con le mani, sebbene mai troppo esposti in verità. Verso la cima il pendio spiana e ci introduce ad un'altra meraviglia: il branco di stambecchi maschi qui residenti e quasi immobili a godersi il sole e il caldo mentre ruminano i loro quindici chili quotidiani di erba.
La prime rampe verso la cima
Guardando verso la conca de la Viene, dietro il Canin
Brevi canaletti da risalire con l'aiuto delle mani
Io sullo sfondo del M. Cimone
Pianetto prima dell'ultima rampa
Colonia di maschi poco sotto la cima
Generazioni a confronto
Loro hanno capito tutto
Eccoci in cima. Ampia, rilassante. Su solo i due sloveni sputati dalla Norina che ci rassicurano sull'agibilità della stessa. Devo dire che la cima questa volta non mi ha aggiunto molto a quanto ho goduto e visto finora, perchè il panorama era già quasi del tutto aperto da parecchio. Di fatto però, agguzzando la vista tra la residua umidità, proprio sopra alla selvaggia zona dello Jovet Blanc, si intravede il classico tris d'Assi (Civetta, Pelmo, Antelao), tra i quali spunta anche il poker che non t'aspetti, la Regina.
Molto più nitida è invece la visuale verso Nord, verso l'Austria.
Il gruppo del Canin dalla vetta del M. Cimone
Sguardo verso Ovest, il lato finora nascosto, con tutta la dorsale che degrada selvaggia verso il Canal del Ferro
Più vicino lo Jof di Dogna e il M. Schenone, dietro il Cavallo di Pontebba, dietro ancora il Gartnerkofel fino ad arrivare alle massime vette austriache
Si vedevano appena, ma ho provato a tirare fuori questa immagine del poker d'assi
Zuc dal Bor (con dietro il Sernio) e M. Chiavals, dietro sulla destra Coglians-Cjanevate
Alta Val Dogna con ben visibile lo Jof di Miezegnot, in fondo in fondo l'austriaca mole antennata del Dobratsch
Foronon dal Buinz e Modeon dal Buinz, sopra l'ormai conosciutissimo bivacco Luca Vuerich
Jof di Montasio, parete W. Si vedono l'uscita della Via di Dogna, la grande Cengia, il bivacco Suringar (rosso a sinistra) e il canalone Findenegg che porta appena a sinistra della cima, popolata
Dopo la classica mezzoretta di vetta e il panino è tempo di scendere, come previsto, dal selvaggio sentiero via normale del M. Cimone, decisamente meno frequentato della via fatta in salita. Ritorniamo sui nostri passi nuovamente fino alla Forca de la Viene e puntiamo dritti verso Sud, verso valle, nel caratteristico catino erboso (la "Viene" appunto) che sembra un posto dove poter correre. In effetti non è così, perchè il sentiero presto prende ad essere labile, i bolli pochi e molto sbiaditi. Meglio rimanere concentrati e non perdere mai la via di discesa, perchè questa ben presto si fa ripidissima e a tratti decisamente poco piacevole. Si punta infine a un budello parzialmente in ombra, dove sostare scomodamente qualche secondo per ripararsi dal sole.
Poco sopra ritroviamo la suola del prode sloveno, la infiliamo nel mio zaino per un più degno funerale a valle, nel bidone del nero.
Superiamo una coppia straniera e riprendiamo a scendere sempre più in vista del contrasto cromatico dei larici vivi e di quelli morti, che man mano si scende sono più morti che vivi, a dimostrazione di come si è evoluto l'incendio durante quel mese terribile.
Scendendo una rapida occhiata ancora allo scenario verso Est
Due imbecilli scelgono vie diverse per disarrampicare una balza
La verde conca de la Viene, che ora scenderemo
Sempre più giù nel poco gradevole canalone la vista dei larici è drammaticamente multicolor, ma non è autunno
Con fatica (e molta sete) giungiamo finalmente all'innesto sulla "Via Alta" (620-621), che sostanzialmente porterebbe fino a Dogna in una decina di ore o a Raccolana in 6-7. Ci aspetta una lunga traversata per rientrare ai piani del Montasio.
La prima parte è molto più nel cuore dell'incendio 2013 di quanto visto all'andata. Alcuni scenari sembrano lunari, il bosco è sostanzialmente coperto di cenere e naturalmente senza foglie. Sembra inverno. Anche molte erbe e sterpaglie basse sono secche, bruciate, e non è un piacere per le gambe nude continuare a strofinarle. In un paio di punti ho sentito distintamente l'odore che pochi giorni fa avevo sentito due ore dopo il barbecue. Carbonella bruciata, braci finite. Odore di cenere. Lo avevo letto in alcune relazioni, ma sentirlo dal vivo è un'altra cosa. Incredibile.
Ancora verde contro grigio
Tornati sul selvaggio 621
Scenari bruciati dove il 621 scende verso gli Stavoli Pala dei Larici e Chiout Cali
Il sentiero prosegue in mezza costa
Circondati dal grigio e dall'odore di cenere, il bosco sembra spettrale
Non resta che rientrare, completamente prosciugati dal caldo, verso l'affollatissima Malga Montasio dove ci aspetta una provvidenziale canna (o "gomma" come dicono qua) con l'acqua per rinfrescarci.
Il resto, manco a dirlo, lo fa il fresco giù di fronte al Fontanon di Goriuda. Seduti davanti al laghetto, birra ghiacciata e tagliere con salame, formaggio e polenta. Direi che meglio di così c'è poco e nulla.
La prima cima di grande rilievo delle Giulie Occidentali, arrivando dalla pianura, non si fa conquistare facilmente da nessun lato. Le sue forme così particolari impongono la scelta tra tre vie: una via normale a Sud faticosissima e da 1800m abbondanti di dislivello in pieno sole, un sentiero sperduto sull'enorme versante Nord che diventa attrezzato fino a sfociare in una via ferrata dagli scenari incredibili (ma anche qua ci vogliono quasi 2000m di dislivello positivo e possibilmente due auto), e la più abbordabile traversata dall'Altipiano del Montasio che - vista la calda giornata di fine agosto - rappresenterà la nostra scelta.
Il Monte Cimone. Non so perchè, ma l'ho sempre temuto e non l'ho mai salito. Forse ha contribuito negli ultimi tempi il grande incendio del Luglio-Agosto 2013 che per lungo tempo lascerà la sua ferita sulle pendici meridionali del monte e di tutta la Val Raccolana. Io nel giorno in cui da controllato e limitato (era già attivo da 2-3 settimane ma circoscritto a una piccola porzione del M. Jovet) è "esploso" su mezza valle ero lì, poco lontano, a compiere peraltro una gita memorabile.
Per i curiosi che volessero approfondire questa vicenda - che ritornerà poi nelle foto - segnalo questo link alla relazione tecnica, molto leggibile e chiara anche per chi tecnico non è: http://www.presidente.regione.fvg.i...nicaIncendioValRaccolanaConfStampa28ago13.pdf
Chiedo scusa se questa volta non sono riuscito a limitare ulteriormente il volume di foto da pubblicare, ma la grande giornata tersa e la particolarità dei luoghi mi impone un taglio non troppo drastico.
Partiamo quindi dal bucolico paesaggio della Malga Montasio, già discretamente popolato di prima mattina, tuffandoci subito nel "lato oscuro" dell'altipiano. Poco dietro la malga, infatti, una carrareccia si cala nel bosco a mezzacosta. In un attimo dalla luce al buio, dal rumore al silenzio, purtroppo anche (a livello vegetale) dalla vita alla morte.
Il consueto ma sempre favoloso scenario dell'Altipiano del Montasio
Si entra nel bosco, o quel che ne resta
Dopo meno di venti minuti infatti ecco che la carrareccia non v'è più, solo un selvaggio sentiero che consente all'occhio attento di notare le prime sfumature che risalgono a quell'Agosto 2013. Ma nell'euforia della splendida giornata che ci attende non ci soffermiamo più di tanto, anzi di passo veloce superiamo questi 40-45 minuti sostanzialmente pianeggianti, che avremo anche al rientro, fino al bivio con il sentiero 640.
Non passa tanta gente di qua, difatti urgerebbe una manutenzione della tratta invasa dalle erbe per non rischiare di perdere sempre più questi tracciati (e lo vedremo anche sul 641 via di discesa). Anche i cartelli sono praticamente assenti e i bolli decisamente sbiaditi ove presenti.
Anche dopo il bivio, segnale inequivocabile dell'inizio della salita vera e propria, le erbe la fanno da padrone, mantenendo quel senso di selvaggio che pian piano si affievolisce puntando verso la sempre nascosta Forca di Vandùl.
I prati dove saliremo visti dal bivio 621-640
Fabrizio con dietro il gruppo del Canin
Strane erosioni salendo verso la Forca di Vandùl
Sguardo indietro, si percepisce la tratta appena percorsa dai Piani, sospesa sulla Val Raccolana
Ecco, lo sapevo che la Forca di Vandùl era un posto interessante. Ma non potevo pensare all'emozione di quegli ultimi passi verso l'ampia forca. So che è lì perchè leggo le cartine, il territorio, volendo anche il segnale GPS. Ma fino a pochi metri prima non lo capisci, e ogni passo avanti apre un metro in più di visuale su uno scenario letteralmente mozzafiato, a mio modo di vedere uno dei più particolari della zona, peraltro densa di particolari naturalistici interessanti.
Ultimi metri verso Forca di Vandùl
Arrivano anche Giorgio e Fabrizio
Indietro, zoom meritato per il M. Forato e il Foro, a sovrastare il Bila Pec
La cresta NW del Picco di Carnizza, congiunto al M. Canin. Sostanzialmente si vedono i percorsi di 3 ferrate: Grasselli, Julia e Cenge
Il pilastro occidentale del M. Zabus
Con Fabrizio a Forca di Vandùl
Fabrizio è già stato qui diversi anni fa, Giorgio come me no. Servono dieci minuti di set fotografico per riprendere lo scenario da tutte le angolazioni. Ma quello che servirebbe davvero è un grandangolo professionale, perchè non si riesce in nessun modo - con le nostre compattine - a rendere giustizia alla visione d'insieme.
Il baratro a Nord
Ancora con Fabrizio sul margine orientale della forca
Vista interessante verso i Due Pizzi e la Forchia di Cjanalot
Giorgio e Fabrizio sull'orlo del baratro
Profili
Una volta ripresi puntiamo in direzione di Forca de la Viene e del tratto "ferrato" che ci divide dalla splendida cresta erbosa che la anticipa. Il tratto è molto semplice per chi abituato, e consente una rapida e divertente arrampicata di max I-II grado con il vantaggio dell'assicurazione da ferrata. Per chi pensasse che vista la brevità e la semplicità kit e casco siano superflui beh, si vede che non bazzica spesso in zone dove risiedono grossi branchi di stambecchi sopra la propria testa! E mentre sei lì non puoi sapere dove si sono messi oggi, magari proprio sopra la paretina. Oggi non è così, li troveremo più avanti.
Sulla ferratina troviamo in discesa un non giovanissimo sloveno di Nova Gorica senza più la suola di uno scarpone e con l'altra al limite. Per lui (partito alle 4) si prospetta ora una discesa poco divertente. Noi lo incrociamo mentre recita il "mea culpa" per aver tirato la "gita in più" con le sue pedule ormai maggiorenni.
Sulla ferratina l'incrocio con lo "scalzo" novagoriziano
Sguardo verso il pilastro dello Zabus
Prospettiva da dietro, io e Giorgio sulla ferratina
All'attacco di un paio di staffe
Fabri scala...
...e arriva al termine del breve tratto attrezzato
In pochi magnifici minuti sbuchiamo sull'erbosa cresta che collega la Forca al Pizzo Viene, ormai in vista del ricollocato bivacco Simone Del Torso, posto a breve distanza dall'uscita della ferrata Norina, proveniente dal cupo ed enorme versante Nord. Da qui ci possiamo affacciare e sognare il passaggio finale della ferrata (un camino che si fa grotta verticale) e la sensazione di essere "sputati" dal buio al sole, dalla roccia all'erba.
G & F sulla cengetta d'uscita del tratto attrezzato
Io e Giorgio
Salendo verso la cresta erbosa del M. Viene
Io e Giorgio arrivati sulla splendida cresta
La cupola sommitale del M. Cimone
Forca de la Viene e il piccolo bivacco Simone Del Torso
L'uscita della ferrata Norina
Affacciati letteralmente verso ovunque - da una parte il Montasio e l'incredibile profilo del M. Zabus, dall'altra il Canin, dall'altra ancora la cima che andremo a salire - procediamo con difficoltà verso la nostra meta, intontiti da quanto è intorno a noi.
L'incredibile parete NW del M. Zabus, sullo sfondo lo Jof di Montasio
G & F con lo stesso sfondo
Niente da fare, è troppo bello
Io e Fabrizio
Il bivacco Del Torso, dietro i Musi
L'ultimo tratto alterna in modo evidente i ripiani erbosi e le strisce rocciose caratteristiche della zona. Ma non è da sottovalutare perchè 3-4 passaggi sono da fare con le mani, sebbene mai troppo esposti in verità. Verso la cima il pendio spiana e ci introduce ad un'altra meraviglia: il branco di stambecchi maschi qui residenti e quasi immobili a godersi il sole e il caldo mentre ruminano i loro quindici chili quotidiani di erba.
La prime rampe verso la cima
Guardando verso la conca de la Viene, dietro il Canin
Brevi canaletti da risalire con l'aiuto delle mani
Io sullo sfondo del M. Cimone
Pianetto prima dell'ultima rampa
Colonia di maschi poco sotto la cima
Generazioni a confronto
Loro hanno capito tutto
Eccoci in cima. Ampia, rilassante. Su solo i due sloveni sputati dalla Norina che ci rassicurano sull'agibilità della stessa. Devo dire che la cima questa volta non mi ha aggiunto molto a quanto ho goduto e visto finora, perchè il panorama era già quasi del tutto aperto da parecchio. Di fatto però, agguzzando la vista tra la residua umidità, proprio sopra alla selvaggia zona dello Jovet Blanc, si intravede il classico tris d'Assi (Civetta, Pelmo, Antelao), tra i quali spunta anche il poker che non t'aspetti, la Regina.
Molto più nitida è invece la visuale verso Nord, verso l'Austria.
Il gruppo del Canin dalla vetta del M. Cimone
Sguardo verso Ovest, il lato finora nascosto, con tutta la dorsale che degrada selvaggia verso il Canal del Ferro
Più vicino lo Jof di Dogna e il M. Schenone, dietro il Cavallo di Pontebba, dietro ancora il Gartnerkofel fino ad arrivare alle massime vette austriache
Si vedevano appena, ma ho provato a tirare fuori questa immagine del poker d'assi
Zuc dal Bor (con dietro il Sernio) e M. Chiavals, dietro sulla destra Coglians-Cjanevate
Alta Val Dogna con ben visibile lo Jof di Miezegnot, in fondo in fondo l'austriaca mole antennata del Dobratsch
Foronon dal Buinz e Modeon dal Buinz, sopra l'ormai conosciutissimo bivacco Luca Vuerich
Jof di Montasio, parete W. Si vedono l'uscita della Via di Dogna, la grande Cengia, il bivacco Suringar (rosso a sinistra) e il canalone Findenegg che porta appena a sinistra della cima, popolata
Dopo la classica mezzoretta di vetta e il panino è tempo di scendere, come previsto, dal selvaggio sentiero via normale del M. Cimone, decisamente meno frequentato della via fatta in salita. Ritorniamo sui nostri passi nuovamente fino alla Forca de la Viene e puntiamo dritti verso Sud, verso valle, nel caratteristico catino erboso (la "Viene" appunto) che sembra un posto dove poter correre. In effetti non è così, perchè il sentiero presto prende ad essere labile, i bolli pochi e molto sbiaditi. Meglio rimanere concentrati e non perdere mai la via di discesa, perchè questa ben presto si fa ripidissima e a tratti decisamente poco piacevole. Si punta infine a un budello parzialmente in ombra, dove sostare scomodamente qualche secondo per ripararsi dal sole.
Poco sopra ritroviamo la suola del prode sloveno, la infiliamo nel mio zaino per un più degno funerale a valle, nel bidone del nero.
Superiamo una coppia straniera e riprendiamo a scendere sempre più in vista del contrasto cromatico dei larici vivi e di quelli morti, che man mano si scende sono più morti che vivi, a dimostrazione di come si è evoluto l'incendio durante quel mese terribile.
Scendendo una rapida occhiata ancora allo scenario verso Est
Due imbecilli scelgono vie diverse per disarrampicare una balza
La verde conca de la Viene, che ora scenderemo
Sempre più giù nel poco gradevole canalone la vista dei larici è drammaticamente multicolor, ma non è autunno
Con fatica (e molta sete) giungiamo finalmente all'innesto sulla "Via Alta" (620-621), che sostanzialmente porterebbe fino a Dogna in una decina di ore o a Raccolana in 6-7. Ci aspetta una lunga traversata per rientrare ai piani del Montasio.
La prima parte è molto più nel cuore dell'incendio 2013 di quanto visto all'andata. Alcuni scenari sembrano lunari, il bosco è sostanzialmente coperto di cenere e naturalmente senza foglie. Sembra inverno. Anche molte erbe e sterpaglie basse sono secche, bruciate, e non è un piacere per le gambe nude continuare a strofinarle. In un paio di punti ho sentito distintamente l'odore che pochi giorni fa avevo sentito due ore dopo il barbecue. Carbonella bruciata, braci finite. Odore di cenere. Lo avevo letto in alcune relazioni, ma sentirlo dal vivo è un'altra cosa. Incredibile.
Ancora verde contro grigio
Tornati sul selvaggio 621
Scenari bruciati dove il 621 scende verso gli Stavoli Pala dei Larici e Chiout Cali
Il sentiero prosegue in mezza costa
Circondati dal grigio e dall'odore di cenere, il bosco sembra spettrale
Non resta che rientrare, completamente prosciugati dal caldo, verso l'affollatissima Malga Montasio dove ci aspetta una provvidenziale canna (o "gomma" come dicono qua) con l'acqua per rinfrescarci.
Il resto, manco a dirlo, lo fa il fresco giù di fronte al Fontanon di Goriuda. Seduti davanti al laghetto, birra ghiacciata e tagliere con salame, formaggio e polenta. Direi che meglio di così c'è poco e nulla.