Conseguenze legali valanghe

DonnieD

New member
Non sono ancora ben riuscito a comprendere la normativa che regola lo sci fuoripista in Italia, e spero che qualcuno riesca almeno a farmi chiarezza su un punto.
Esiste davvero la possibilità di avere ripercussioni legali per il provocato distaccamento di una valanga? Premesso che ovviamente è già una gran fortuna se se ne esce...
 
Ci sono varie discussione approfondite sul punto per cui non apriamone una nuova :

http://www.skiforum.it/forum/freeri...o-dai-gesori-non-ha-nussun-valore-legale.html

http://www.skiforum.it/forum/discussioni-generali/9680-legislazione-sci.html

fuoripista legale Skiblog

http://www.skiforum.it/forum/report...-legale-yeah-e-roarrr-nov2009.html#post716911

Oppure compra il libro di Gotamart (Martino Colonna) dove c'è un capitolo scritto da me, Kirama ed Elle sugli aspetti legali del fuoripista :

http://www.skiforum.it/forum/freeride-fuoripista-scialpinismo/63944-il-primo-libro-sul-freeride.html

Cmq in estrema sintesi :

La legge nazionale non vieta il fuoripista ma prevede solo l'utilizzo di un mezzo di ritrovamento sotto le valanghe (ARTVA)

Il fuoripista può essere vietato solo temporaneamente da ordinanze del Sindaco competente in situazioni di pericolo

In Italia esiste il reato di Valanga colposa: se provochi colposamente una valanga sei punito indipendentemente che tu faccia morti o lesioni
 
Ci sono varie discussione approfondite sul punto per cui non apriamone una nuova :

http://www.skiforum.it/forum/freeri...o-dai-gesori-non-ha-nussun-valore-legale.html

http://www.skiforum.it/forum/discussioni-generali/9680-legislazione-sci.html

fuoripista legale Skiblog

Oppure compra il libro di Gotamart (Martino Colonna) dove c'è un capitolo scritto da me, Kirama ed Elle sugli aspetti legali del fuoripista :

http://www.skiforum.it/forum/freeride-fuoripista-scialpinismo/63944-il-primo-libro-sul-freeride.html

Cmq in estrema sintesi :

La legge nazionale non vieta il fuoripista ma prevede solo l'utilizzo di un mezzo di ritrovamento sotto le valanghe (ARTVA)

Il fuoripista può essere vietato solo temporaneamente da ordinanze del Sindaco competente in situazioni di pericolo

In Italia esiste il reato di Valanga colposa: se provochi colposamente una valanga sei punito indipendentemente che tu faccia morti o lesioni
Avvocato,ma è vero che lei indossa l'Artva anche in tribunale? Me lo ha detto Garmont!!!!
 
@donnie: direi che Irebec ti ha già risposto esaurientemente ... è previsto e punito il reato di valanga colposa
 

.

Grazie mille! ho dato un'occhiata e direi che c'e' tutto quello d cui avevo bisogno. Rimando quindi altre eventuali domande a riguardo nelle discussioni gia' aperte.
Il libro ho gia' messo in conto d averlo! Me lo faccio regalare dalla mia ragazza mi sa:HIP
 
Ci sono varie discussione approfondite sul punto per cui non apriamone una nuova :

http://www.skiforum.it/forum/freeri...o-dai-gesori-non-ha-nussun-valore-legale.html

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fuoripista legale Skiblog

http://www.skiforum.it/forum/report...-legale-yeah-e-roarrr-nov2009.html#post716911

Oppure compra il libro di Gotamart (Martino Colonna) dove c'è un capitolo scritto da me, Kirama ed Elle sugli aspetti legali del fuoripista :

http://www.skiforum.it/forum/freeride-fuoripista-scialpinismo/63944-il-primo-libro-sul-freeride.html

Cmq in estrema sintesi :

La legge nazionale non vieta il fuoripista ma prevede solo l'utilizzo di un mezzo di ritrovamento sotto le valanghe (ARTVA)

Il fuoripista può essere vietato solo temporaneamente da ordinanze del Sindaco competente in situazioni di pericolo

In Italia esiste il reato di Valanga colposa: se provochi colposamente una valanga sei punito indipendentemente che tu faccia morti o lesioni

ma quante ne sai?

ma è vero che ti sponsorizza la CEDAM frimminchia division?
 
anche omicidio colposo!...

posto qui questo documento perchè chi si avventura fuoripista deve conoscere le conseguenze.

l'ipotesi di omicidio colposo per i compagni della vittima, in quanto, sciando fuori pista nonostante i divieti, avrebbero causato la valanga
.
La lettera aperta dell'Osservatorio della Libertà in Montagna e in Alpinismo del CAI al Pm di Torino Raffaele Guariniello - Lo scarpone on-line - L'house organ del Club Alpino Italiano
OSSERVATORIO DELLA LIBERTA’ IN MONTAGNA E IN ALPINISMO
info@alessandrogogna.com

Egregio dottor Raffaele Guariniello,
Le sottoponiamo le nostre riflessioni in fatto di giudizio in sede civile e sede
penale per cause concernenti l’attività in montagna. Veda nell’allegato pdf.
Chiariamo subito che non Le scriviamo per auspicare una "giustizia speciale", o
“tribunale della montagna”, che conosca la materia e i principi di fondo
evidenziati nella lettera.
Le scriviamo invece, come potremmo scrivere a qualunque altro magistrato,
perché riteniamo che Lei personalmente debba essere messo a conoscenza
della filosofia di coloro che reputano essenziale forma di libertà il muoversi su
terreno di avventura montana.
Siamo a disposizione per qualunque chiarimento o anche per un incontro.
Grazie dell’attenzione

Per l’Osservatorio per la libertà in Montagna e Alpinismo (riconosciuto dal Club
Alpino Italiano), il portavoce Alessandro Gogna



GIUDIZIO IN SEDE CIVILE E SEDE PENALE PER CAUSE CONCERNENTI
L’ATTIVITÀ IN MONTAGNA

Libertà e consapevolezza
Esiste purtroppo la concezione che libertà significhi facoltà di vivere emozioni
ed esperienze senza limiti, sminuendo l’esistenza di pericoli e rischi: è la
concezione dell’odierno consumatore, per il quale la montagna non è più il
luogo della formazione, del confronto con se stessi, ma quello del puro
godimento rapido, effimero e garantito.
La libertà in alpinismo è cosa diversa: è facoltà di determinare in autonomia le
scelte che ci riguardano, sia come singoli che come componenti di una
collettività, ma con la consapevolezza del rischio che si corre e dei danni che
possono derivarne ad altri.
La libertà è un diritto essenziale di ogni persona, l’alpinismo e la montagna
sono una delle massime espressioni di libertà, perché le attività alpinistiche per
loro natura non possono rispondere a regole prefissate come avviene negli
sport classici. L’Osservatorio della Libertà in Montagna individua la libertà come
ricerca e conoscenza di sé e dei propri limiti, come espressione alta di chi sa
mettere in gioco se stesso con la consapevolezza dei propri mezzi e con la
conoscenza del terreno. Libertà è ricerca di evoluzione individuale che va di
pari passo con l’aumento di consapevolezza. Un terreno sul quale l’uomo si è
sempre confrontato, con esiti diversi, ma senza il quale la vita sarebbe meno
ricca, la letteratura più povera, la geografia dell’emozione una piccola collina. E
senza del quale non avrebbe senso neppure il mito di Ulisse.

Libertà come diritto
Potremmo partire da una citazione di John Stuart Mill: “Ogni vincolo in quanto vincolo è un male” (1859). Detto così può sembrare banale e anarchico, ma noi
crediamo di interpretare correttamente il pensiero di Mill quando affermiamo di
non voler rifuggire le regole ma soltanto di volerle declinate col buon senso. Il
libero accesso alla montagna è un diritto, ma ha dignità solo se accompagnato
da un lungo percorso di autodisciplina e consapevolezza. Libertà in montagna
è, dunque, libertà di movimento arricchita dall’esercizio della consapevolezza:
che vuol dire preparazione, disciplina, consapevolezza del limite, e, solo
secondariamente, raggiungimento di una prestazione. Libertà è anche quella di
rinunciare, avere il coraggio di tornare indietro se i presupposti non sono
sufficienti alla progressione.
Per questi motivi l'attività alpinistica è e deve rimanere libera, pura e
consapevole, e non deve essere confusa con l'attività sportiva ispirata invece a
criteri di pratica "sicura".

Pericolo e rischio in montagna
I pericoli e i rischi vengono dalla disparità tra persona e montagna, come per
mari e deserti. Sono elementi costitutivi dell’alpinismo e fondanti la libertà di
scelta. Vanno legati all’esercizio della responsabilità e la domanda che
dobbiamo porci è: quale rischio mi posso permettere in questa situazione? La
valutazione e la successiva accettazione del rischio, oltre che aspetto
costitutivo dell’esperienza alpinistica, sono elementi positivi e consentono il
percorso di evoluzione personale.
Il diritto al rischio è valido solo quando è frutto di una scelta consapevole e
rispettosa degli altri, sapendo che non esistono la pretesa e la certezza di
essere soccorsi sempre, comunque e in ogni condizione.

Sicurezza
Si è sicuri solo con il giusto mix di sicurezza interiore (preparazione e
consapevolezza) e, se del caso, di dotazione di un adeguato equipaggiamento.
La sicurezza totale è una pura illusione della società assistenzialista e
consumista, non esiste e non esisterà mai, né in alpinismo né in nessun’altra
attività umana, e ogni alpinista sceglie liberamente e consapevolmente di
prendersi carico della componente inalienabile di rischio legata al fare
alpinismo. L’impostazione attuale della società è improntata all’ossessiva
cultura della sicurezza, la société sicuritaire, come scrivono i francesi. La
società “sicuritaria” è anche il risultato di una motivazione positiva, ovvero
dell’idea che la società si faccia carico della sicurezza dei suoi membri.
Sicurezza che è importantissima in tutti i luoghi, in tutte le attività dove le
persone si trovano a lavorare, studiare, farsi curare, soggiornare, circolare.
Esistono però spazi in cui la persona può e deve muoversi liberamente con la
coscienza del rischio e dei propri limiti, con l’attenzione agli altri e all’ambiente
in cui si muove: perciò, in questo ambito, la cultura della sicurezza totale si
manifesta in tutto il suo disvalore. La montagna è uno dei pochi spazi che
consentono ancora l’espressione di una ricerca personale in cui si mette in
gioco la libertà della scelta. Questi spazi, questa libertà, questa intera
dimensione non vengono però accettati dalla società sicuritaria. Scrive
l’antropologo Annibale Salsa che oggi noi “assistiamo a un vero e proprio eccesso, un delirio della sicurezza” e continua “la ricerca della sicurezza è la
psicopatologia della società moderna”.
L’equipaggiamento e le attrezzature tecnologiche sono validi supporti, ma non
costituiscono da soli garanzia di sicurezza e non possono essere
indiscriminatamente o acriticamente imposti: conoscenza, esperienza, buon
senso e istintualità sono ancora alla base della consapevolezza e
quindi indispensabili.

Differenza tra responsabilità e consapevolezza
In italiano, ma anche in altre lingue, la parola “responsabilità” ha un doppio
significato. Nella prima accezione si riscontrano sostanzialità e sfumature che
abbiamo cercato di esprimere usando la parola “consapevolezza”; nella
seconda, troviamo un significato molto diverso, quello della responsabilità
giuridica.
Consapevolezza e responsabilità giuridica sono dunque assai legate, anche se
non sono la stessa cosa: la libertà è resa più significativa dal poter effettuare
una scelta sapendo che si può essere chiamati a rispondere di essa, e di contro
l’esercizio della libertà può abituare alla responsabilità delle proprie azioni.
Ha senso, allora, un luogo nel quale questa responsabilità possa venire in
discussione, perché non basta il così detto “foro interiore”: se siamo
responsabili nei confronti anche degli altri, allora bisogna che gli altri possano
fare appello a questa nostra responsabilità. In Italia oggi (ma anche altrove)
non è normale una giustizia “corporativa”, e cioè propria delle categorie
interessate, quale ad esempio esisteva prima dell’età moderna; i probiviri del
CAI si occupano solo di controversie interne all’associazione, ma non possono
andare oltre e trattare di rapporti che non riguardano quella limitata materia.
L’opinione pubblica, e prima ancora la Costituzione che afferma la necessità di
un luogo ove possano essere fatti valere i diritti di ciascuno, confermano che
non possono esistere “luoghi franchi”; ed allora non resta che la giustizia
ordinaria quale luogo di tali possibili controversie.
Qui sembra che possiamo essere d'accordo, però attenzione: il punto è dove si
pone il limite per un'azione legale nei confronti di un atto di cui l'alpinista è
responsabile. Il concetto di consapevolezza si mescola fino a un certo punto
con quello di responsabilità giuridica, e non deve essere giustificazione per una
"punizione" per chi esagera.

Un “vizio” della società moderna è la ricerca “obbligatoria” di un responsabile
per ogni cosa che accade. Ad esempio la caduta sassi in montagna esisterà
sempre e non è eludibile. Il modello statunitense di far causa contro qualcuno
per qualsiasi cosa accada, con lo scopo di farsi risarcire, sta ormai radicandosi
anche nella nostra società e nel “mercato della sicurezza” assistiamo a
denunce e richieste di danni che sono assurde persino nella loro impostazione.
Simili comportamenti non sono utili a nessuno, salvo agli avvocati: ingolfano i
tribunali, e soprattutto mettono a dura prova la voglia dei volontari nel
continuare a dedicare il proprio tempo libero per il bene della collettività.
Perché anche per loro le leggi tendono a essere interpretate in modo cieco, con
il risultato di castrare qualunque buona iniziativa, per i giovani, per i
diversamente abili, per i disadattati.
La responsabilità giuridica
Quando si dice responsabilità si intende riconoscimento della colpa e punizione
per ciò che si è fatto; ma va subito detto che questo vale solo per quella
penale, perché quella civile ha una vocazione distributiva e solidarista. Si
ritiene che se qualcuno ha subito un danno, occorre veder come fare per non
far rimanere quel danno solo a suo carico, almeno sotto il profilo patrimoniale.
Questo tipo di responsabilità sfiora a volte l’addebito oggettivo: si è
responsabili perché qualche cosa è successo, qualcuno si è fatto male; si crea il
meccanismo della compensazione economica di ogni tipo di danno. In quella
per cose in custodia (tra esse a volte possono esserci i sentieri, o le vie ferrate)
non si è più solo responsabili per l’incuria nella manutenzione che ha
determinato una insidia imprevista, ma per tutti gli infortuni occorsi nell’uso
della cosa, purché il danneggiato non ne abbia fatto un uso improprio.
Ma almeno per la responsabilità civile ci si assicura, e quindi c’è
un’assicurazione che paga; e qui stiamo parlando non solo della responsabilità
del singolo, ma anche delle istituzioni e delle imprese che organizzano e
gestiscono il territorio a vario titolo; per tale via, l’assicurazione che queste
hanno contratto copre la responsabilità civile oppure il costo ricadrà sulla
collettività, la quale però comunque riceve altri benefici ben superiori (ad
esempio turistici). Nel penale non è così, ognuno risponde per se stesso: la
responsabilità penale è personale. E occorre una precisazione. Nel processo
penale il problema non è tanto la condanna finale, specie per reati colposi; i
processi penali sembra talvolta che si facciano prevalentemente per far soffrire
qualcuno: è lo stesso processo a costituire una pena, e con esso la sua
pubblica notizia, l’angoscia, le ore passate nei corridoi dagli imputati ma anche
dai testi, dalle parti offese.
Il problema è dunque, per l'Osservatorio, cercare di fare in modo che il
suddetto “limite per un’azione penale” venga definito in una sede tale per cui la
scelta non sia lasciata esclusivamente a una giustizia comune (per essa
intendendosi quella che valuta qualsiasi situazione nella stessa maniera).

La responsabilità collegata alla frequentazione della montagna può avere tre
principali aspetti: 1) nei riguardi di compartecipi o di chi poi direttamente
resterà infortunato; 2) installazione, manutenzione o controllo di sentieri o vie
attrezzate o ferrate; e infine 3) esposizione a pericoli degli eventuali
soccorritori.
Sul primo vi è ormai casistica anche in sede penale. Sul secondo punto le
decisioni note sono sentenze civili; sul terzo non ne risultano di precise, ma le
ultime vicende natalizie 2013-2014 provano che lì si sta andando allo scontro.
Nella società e in diritto non si può proibire il rischio.

In questo senso, restrittivamente, dovrebbe essere proibito lo stesso Soccorso
Alpino, che invece è costituito da professionisti e volontari.
Però, già per Mill lo Stato non si doveva ingerire nelle attività degli individui,
salvo che arrechino danno ad altri; ma, tra questi ultimi, non considerava
coloro che consentano ad una partecipazione consapevole e volontaria.
E noi oggi dobbiamo considerare, come era normale in passato, che il mondo degli alpinisti è per sua natura solidaristico, è orgoglioso di esserlo, non si
sottrae e non recrimina neppure di fronte alle conseguenze patite per prestare
soccorso. Vuole il legislatore l'abolizione del Soccorso Alpino? Vedrebbe che
putiferio!.

In materia, i giudici e prima ancora i pubblici ministeri sono portatori di nozioni
e conoscenze tutt’altro che approfondite e omogenee; la comprensione dei
complessi elementi che intervengono nella formulazione di una scelta di chi
frequenta la montagna non sempre è completa; avviene così che condotte, che
per alcuni sono esenti da responsabilità, per altri invece non lo sono;
purtroppo, in molti casi non vi è alcuna linearità nella decisione. Ma questo non
può meravigliare, perché in processi come questi cambiano i livelli non solo di
conoscenza della materia, ma anche di disponibilità individuale ad accettare la
logica della previsione e della inevitabilità di un pericolo.

Gli incidenti da valanga, aspetti legislativi
Per la legislazione attuale il reato di aver procurato una valanga è stato
introdotto (per tutt’altri contesti!) dal nostro codice penale del 1930; quindi un
magistrato deve far rispettare la norma, ma in certi casi la cosa può apparire
ridicola. Non c’è stazione di turismo invernale che non pubblicizzi il proprio
territorio con immagini e filmati di entusiasmanti discese fuoripista, magari
pure a cavallo di valanghe provocate. Caso mai ci sarebbe da chiedersi come
mai un articolo del c.p. sia stato bellamente ignorato dai tribunali italiani per
oltre 60 anni, forse perché la valanga non era di moda? O nel frattempo non
c’erano state vittime in valanga?

Probabilmente la prima impugnazione importante in merito fu del procuratore
della Repubblica di Sondrio in occasione della valanga del Vallecetta (inizio anni
2000). Nessuna vittima, nessun ferito, neppure allertato il servizio di soccorso,
ma 8 mesi di reclusione ai 5 sciatori che erano nei paraggi (non solo a chi ha
provocato la slavina, certamente uno solo).
Risulta evidente e alla luce delle conoscenze attuali che la norma è a dir poco
obsoleta e andrebbe certamente rivista.

Gli incidenti da valanga, aspetti culturali
E’ fuori di dubbio che l’attività in pista deve essere al riparo da pericoli
oggettivi così come previsto dalla legislazione nazionale e da quelle regionali e
provinciali. L’utente della stazione sciistica ha acquistato un servizio che
comprende, tra le altre cose, la propria incolumità sulle piste da sci, almeno
per quanto concerne quei pericoli. Chi percorre una pista da sci si deve solo
preoccupare di non arrecare danno agli altri con la sua condotta.
Perché si tratta di attività sportiva. Sarebbe come dire che se vado a nuotare
in piscina non sono tenuto a fare l’analisi dell’acqua prima di tuffarmi. La
stessa pista da sci è una struttura sportiva.
Se invece abbandoniamo la pista, non importa se di poco o di tanto, dobbiamo
preoccuparci da noi. Non esiste più nessuno (persona, società, Ente pubblico)
che ci debba imporre la sicurezza nostra e di chi vi opera come noi e non potrebbe neanche essere altrimenti essendo impraticabile controllare,
sorvegliare, vigilare su tutto l’ambiente naturale.
Neppure è dignitoso che norme e sanzioni siano usate solo per spauracchio
(allora dovrebbe essere prima punito anche chi nella sostanza non le fa
rispettare).
Qui entrano in gioco le conoscenze delle persone che praticano la montagna, la
consapevolezza; se qualcuno non ha e non pratica le conoscenze adeguate
probabilmente andrà a mettersi nei guai.

Conclusioni
Bisogna far passare il concetto che scendere un pendio innevato lungo una
pista da sci o lontano da essa sono due cose culturalmente opposte,
certamente compatibili tra di loro, ma da non confondere.
Sulla pista da sci si fa attività sportiva, altrove no! Il restante è compreso
in tutte le altre attività d’avventura in montagna, estive e invernali.
Chi invece si avvale degli impianti di risalita e poi scende sopra una pista
confonde le due attività, e spesso non basta neppure esporre cartelli di divieto.
E’ pronto a essere lui la prima vittima “inconsapevole” di se stesso.
Dunque dobbiamo spendere ogni energia nel campo della formazione e
dell’informazione corretta, non nel campo del divieto e della punizione.
Dobbiamo fare in modo di essere informati sulle modalità di quella grande
parte di incidenti che si sono auto-risolti (senza intervento di soccorso
esterno) ma che per paura delle conseguenze penali vengono tenuti
nascosti dai coinvolti.
Dobbiamo diminuire il numero degli inconsapevoli, non aumentare il
numero dei dissuasi o dei puniti.

Per Osservatorio della Libertà in Montagna e in Alpinismo
Il portavoce: Alessandro Gogna

Indirizzata a:
Dott. Raffaele Guariniello (Coordinatore - Sostituto Procuratore) Procura di
Torino
Stanza segreteria: 52408
Telefono segreteria: 011 - 43 28 759
Fax segreteria: 011 - 43 28 715
e-mail: mariangela.bosco@giustizia.it (segretaria di Guariniello)

A gennaio sul Gran sasso si è riproposto una tematica identica. Due fratelli facendo fuori pista partendo dalle piste del comprensorio di Campo Imperatore hanno staccato una valanga e uno dei due è morto dopo qualche giorno per i danni subiti . Ora la Procura di Teramo ha indagato il fratello superstite ( per valanga e omicidio colposo) con modalità analoghe a quelle già usate dalle Procure di Torino, Bolzano e Trento.
 
Quindi se causi una valanga sei punibile indipendentemente dal fatto che hai causato vittime o no.
Ma ha rilevanza se la zona interessata è antropizzata o meno?
 
Quindi se causi una valanga sei punibile indipendentemente dal fatto che hai causato vittime o no.
Ma ha rilevanza se la zona interessata è antropizzata o meno?

Quasi giusto. Cioè se non causi vittime ha rilevanza se il posto è antropizzato o meno, ma se causi vittime non ha rilevanza per la sussistenza del reato di omicidio colposo, ma verrà valutato per stabilire la gravità della colpa stessa.
 
Se causi una valanga in zona non antropizzata senza provocare vittime o danni commetti un reato comunque?
 
Se causi una valanga in zona non antropizzata senza provocare vittime o danni commetti un reato comunque?

Dal primo link contenuto nel post #38 (pagina 3) qui
http://www.skiforum.it/forum/showthread.php?t=77843&page=3

http://www.scialp.it/xyz/corsisvi/Normativa_Sanzionatoria.pdf :

"Per comprendere la norma occorre prima dare una definizione di valanga :
non s’intende ogni e qualsiasi distacco di massa nevosa, ma solo quello che sia di ragguardevoli proporzioni (per quantità di neve, per estensione del fronte, per velocità di caduta e quindi per forza distruttiva) e che soprattutto costituisca una minaccia per la pubblica incolumità, con messa in pericolo di vie di comunicazione, centri abitati, o anche piste di sci aperte al pubblico, e quindi, in ogni caso, mettendo a repentaglio la vita di un gran numero di persone.
Trattandosi di un “reato di pericolo”, la norma non richiede che la valanga provochi morti e feriti o distruzione di cose, essendo sufficiente che esista un pericolo del genere, inteso non già come
pura possibilità di conseguenze disastrose, ma come probabilità che queste si verifichino.
Esempio pratico: il distacco di una valanga di enormi proporzioni, causato da uno sciatore in zona assolutamente isolata e apprezzabilmente lontana da centri abitati, strade o piste di sci, non costituirà il reato in esame.
Ma una valanga delle stesse proporzioni che si arresti provvidenzialmente a distanza estremamente ravvicinata a un centro abitato, pur senza causare alcun danno a persone e cose,
esporrà chi l’ha causata a responsabilità per il reato in esame. "

Consiglio cmq di leggere integralmente il pdf da cui ho estratto il passaggio (e di leggere le tante discussion qui sul forum)
 
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