^ In teoria è ancora valido in tutto il mondo germanico. Bravi attori svizzeri o austriaci nascondono, quindi, sul palcoscenico o davanti alla macchina da presa, le proprie inflessioni regionali. Nonostante la sua, si può dire, vetustà, il manuale è tuttora in uso e non ha subito chissà che variazioni nel corso del tempo. L'unica, forse, riguarda la pronuncia della R. Pensa che fino agli anni '50 del secolo scorso l'unica R ammessa era quella articolata con la punta della lingua (Zungenspitzen-R), una pratica ancora, direi, standard nella musica lirica, mentre ora sono ammesse anche la R uvulare e la riduzione a vocale in fine di parola (es. mir pronunciato "mia" anziché mir con una bella erre rullata).
Ok, ho fatto una rapida verifica. Te la passo giusto per chiacchiera, però devo porti una domanda.
Le tue informazioni (o la tua formazione, non so) vengono soprattutto dal mondo della lirica? Perché questo spiegherebbe una certa rigidezza nelle indicazioni che hai raccolto.
Mi spiego meglio: ho chiesto a una compagnia di attori professionisti berlinesi (aiutato dal fatto che c'è tra loro una mia amica italo-tedesca, non sono in grado di sostenere una conversazione in tedesco). Attori di prosa, teatro di ricerca, gente che lavora comunque anche in cinema e TV. Nessuno ha letto il Sieb, lo conoscono solo come cenno storico, alcuni non sanno cosa sia. Mi hanno detto che studiano (ovviamente, direi) articolazione e fonazione esattamente come noi, ma l'ortoepìa è davvero secondaria.
Può essere però un problema del teatro berlinese, poiché mi dicono più o meno:
"Berlino è talmente multietnica che non sarebbe logico usare la dizione in teatro". Ok.
Mi sono dunque rivolto a un vecchio amico giornalista ormai tedesco di adozione (Lipsia), affidabile, germanista per passione (e pure filogermanico, va be'), giornalista specializzato in cultura, spettacolo e architettura.
Questa la risposta.
"..diciamo che Bertolt Brecht e Erwin Piscator non sono passati invano...
Fino a quando le Germanie erano due all'ovest si era imposto uno standard di pronuncia - modellato sul tedesco parlato nella bassa sassonia, diciamo tra Hannover e Amburgo, che ha avuto applicazione prevalentemente in radio e Tv. All'est, invece, l'accento sassone e quello berlinese, a seconda dei casi, si sentiva. In teatro, pure... Gli austriaci parlano austriaco e i germanici ne ridono, mentre degli svizzeri non capiscono una parola su due...(...)
Quel codice linguistico era una cosa artificiale, serviva alla politica prussiana di unificazione germanica alla fine dell'Ottocento...non ha avuto alcun effetto concreto. Poi considera che il teatro tedesco del primo ottocento si fondava sul cabaret. Ogni città esprimeva la propria tradizione di cabaret, profondamente diverso quello berlinese da quello monacense (Karl Valentin). Poi, per avere un'idea delle varietà linguistiche, basta vedere la serie "federale" (primo canale) dei telefilm polizieschi Tatort e Soko (seguito dalla città in cui è stato ambientato)...".
Alla fine, forse non ricordavo così male nell'asserire che da loro la dizione (intesa come ortoepìa, accenti e pronuncia di alcune consonanti) ha meno importanza che da noi, come mi spiegò molti (purtroppo) anni fa un produttore della Bayerischer Rundfunk con cui ebbi la fortuna di collaborare.
Forse proprio per questo nel documentario proposto più sopra i parlanti pronunciano Sànkt Morìtz (mezzo tedesco e mezzo francese) e nessuno si stupisce, mentre da noi i giornalisti Rai che vanno sul nazionale sono praticamente (e giustamente) obbligati a studiare dizione.
Mi chiedo però quale standard seguano i doppiatori tedeschi, giacché nella mia concezione del cinema e della tv sarebbe deleterio doppiare con inflessione locale (mi innervosisco quando sento le scivolate in certi doppiaggi italiani, figurati).
Tutto qui.
In fondo è solo una noiosissima riflessione sui problemi del giornalismo televisivo, però serve anche a capire perché si sbaglia e dove.
Ammetto che detesto le cadenze locali. Non tanto gli errori di dizione, sopportabili, quanto le inflessioni.
Ciao.