Secondo capitolo della miniserie sui luoghi comuni del mondo dello sci. Per una premessa generale, rimando al primo capitolo.
Ho invertito l'ordine del secondo e terzo capitolo, visto che i commenti al primo portavano più verso questo argomento che verso il tuffo. Quindi del tuffo ne scriverò in seguito.
Quindi qual è il punto focale della questione? Ricollegandomi agli ultimi commenti fatti nel capitolo precedente, il punto focale per me è stato quello di capire che nella fase di avanzamento e relativo carico sull’avampiede dovevo mantenere attivamente (e sottolineo “attivamente”) il tallone a contatto con la soletta dello scarpone. Per lungo tempo avevo pensato unicamente a portare avanti il bacino e che fosse sufficiente il giusto scarpone della taglia corretta per mantenere il tallone nella sua sede, o comunque che non fosse necessaria un’azione volontaria; poi ho capito che il risultato non era ottimale. Il tallone magari non si alzava fisicamente grazie allo scarpone, ma le forze che andavo a creare all’interno dello scarpone erano deleterie per una serie di motivi:
Il discorso è similare se parliamo della fase di chiusura della curva, durante la quale il focus di un numero sempre maggiore di sciatori evoluti è quello di portare il carico sul tallone: se la caviglia è chiusa attivamente l’effetto è ottimo, si avverte chiaramente una chiusura della curva super solida che restituisce sensazioni di grande tenuta.
Se invece la caviglia è aperta portare il carico sul tallone porterà nella maggior parte dei casi a un arretramento (per quanto piccolo ed eventualmente gestito/limitato dagli addominali) e a un probabile cedimento, perché il corpo si ritroverà disallineato e dovrà quindi gestire i carichi unicamente grazie alla forza muscolare. Inoltre aumenterà il pendolo sull’asse antero/posteriore, rendendolo molto più difficile da gestire sia come tempismi, sia come sforzi. Se arretro troppo, dovrò portarmi molto avanti per recuperare la centralità, se invece creo solidità con la contrazione dei muscoli tibiali riesco ad avere un pendolo più contenuto, più rapido e più facilmente gestibile.
Questo è il motivo per cui, al momento attuale, ho qualche dubbio sul voler riaprire la caviglia volontariamente tra una curva e l’altra. Onestamente non ho ancora trovato una fase in cui la chiusura della caviglia non sia utile. Mi rendo conto che ci sono fasi in cui aumento l’intensità dell’azione e fasi in cui non ci penso, ed è possibile che nelle fasi in cui non ci penso ci sia un’apertura “automatica” (viene meno la chiusura volontaria, può essere che avvenga un’apertura involontaria). Però in generale mi viene da dire che mantenere quel tipo di azione muscolare su tutto l'arco di curva male non fa, perché è utile in tutte le fasi della curva (cambio compreso se inseriamo almeno una componente di rilascio della gamba esterna, ma non voglio andare OT).
Anche in questo caso, non sto dicendo che l'azione di caviglia sia sufficiente per gestire totalmente le azioni sull'asse anteroposteriore: semplicemente rende tutto il resto molto più solido, rapido ed efficace.
Altro piccolo aspetto, che inserisco qui perché è correlato e non merita una discussione a parte: la contrazione volontaria del gluteo esterno alla curva. Argomento discusso sui livelli medio/alti, ho provato a farlo per lungo tempo senza riuscirci e non capivo perché. Se il bacino non è allineato correttamente, se c’è un minimo arretramento, non si riesce a creare una buona contrazione attiva del gluteo, non c’è verso. Ci si riesce invece quando l'allineamento è corretto, e di nuovo, la contrazione dei tibiali nel mio caso è risultata fondamentale. È quindi un ottimo feedback per capire se si è realmente allineati correttamente o se si ha solo l’impressione di esserlo.
Spero che questo post chiarisca qualche punto che ho lasciato scoperto nel primo capitolo, se vi sembra che manchi qualcosa sarei felice se voleste aggiungere ciò che credete opportuno.
Ho invertito l'ordine del secondo e terzo capitolo, visto che i commenti al primo portavano più verso questo argomento che verso il tuffo. Quindi del tuffo ne scriverò in seguito.
Inizio curva sull’avampiede, fine curva sul tallone
Questo è un argomento piuttosto di moda, diciamo che è il nuovo Sacro Graal che si sente consigliare un po’ a tutti. Come in altri casi, l’idea alla base non è sbagliata (anche perché viene diffusa da istruttori nazionali di tutto rispetto, ci mancherebbe), a patto che per metterla in pratica non ci si ritrovi a perdere elementi per strada. Il punto focale è sempre lì, per cercare di rendere le cose semplici si rischia di darne altre per scontate, e se chi deve recepirle non mette insieme i pezzi correttamente rischia di sbagliare senza neanche rendersene conto.Quindi qual è il punto focale della questione? Ricollegandomi agli ultimi commenti fatti nel capitolo precedente, il punto focale per me è stato quello di capire che nella fase di avanzamento e relativo carico sull’avampiede dovevo mantenere attivamente (e sottolineo “attivamente”) il tallone a contatto con la soletta dello scarpone. Per lungo tempo avevo pensato unicamente a portare avanti il bacino e che fosse sufficiente il giusto scarpone della taglia corretta per mantenere il tallone nella sua sede, o comunque che non fosse necessaria un’azione volontaria; poi ho capito che il risultato non era ottimale. Il tallone magari non si alzava fisicamente grazie allo scarpone, ma le forze che andavo a creare all’interno dello scarpone erano deleterie per una serie di motivi:
- equilibrio ridotto, perché se sono in punta di piedi ho meno equilibrio rispetto a quando poggio tutta la pianta
- code scariche, scarsa aderenza e maggior propensione a girare con i piedi almeno nella prima parte di curva: questo inficia anche le fasi successive, nelle quali è più difficile recuperare lo spigolo
- mi sono procurato una brutta infiammazione a un tallone per la pressione a cui lo sottoponevo a ogni curva. In realtà è stata questa infiammazione a farmi ragionare sull’argomento, e mi è servita come “sensore” per capire che stavo aggiustando il tutto: quando non sentivo male, significava che avevo mantenuto attivamente il tallone al suo posto, se mi affidavo unicamente allo scarpone sentivo dolore.
- ultimo ma non ultimo, si sfondano le scarpette degli scarponi con una velocità maggiore. Questo può non essere un problema per chi fa poche giornate all’anno, ma per chi ne fa tante può significare riuscire a fare una stagione in più con la stessa scarpetta.
Il discorso è similare se parliamo della fase di chiusura della curva, durante la quale il focus di un numero sempre maggiore di sciatori evoluti è quello di portare il carico sul tallone: se la caviglia è chiusa attivamente l’effetto è ottimo, si avverte chiaramente una chiusura della curva super solida che restituisce sensazioni di grande tenuta.
Se invece la caviglia è aperta portare il carico sul tallone porterà nella maggior parte dei casi a un arretramento (per quanto piccolo ed eventualmente gestito/limitato dagli addominali) e a un probabile cedimento, perché il corpo si ritroverà disallineato e dovrà quindi gestire i carichi unicamente grazie alla forza muscolare. Inoltre aumenterà il pendolo sull’asse antero/posteriore, rendendolo molto più difficile da gestire sia come tempismi, sia come sforzi. Se arretro troppo, dovrò portarmi molto avanti per recuperare la centralità, se invece creo solidità con la contrazione dei muscoli tibiali riesco ad avere un pendolo più contenuto, più rapido e più facilmente gestibile.
Questo è il motivo per cui, al momento attuale, ho qualche dubbio sul voler riaprire la caviglia volontariamente tra una curva e l’altra. Onestamente non ho ancora trovato una fase in cui la chiusura della caviglia non sia utile. Mi rendo conto che ci sono fasi in cui aumento l’intensità dell’azione e fasi in cui non ci penso, ed è possibile che nelle fasi in cui non ci penso ci sia un’apertura “automatica” (viene meno la chiusura volontaria, può essere che avvenga un’apertura involontaria). Però in generale mi viene da dire che mantenere quel tipo di azione muscolare su tutto l'arco di curva male non fa, perché è utile in tutte le fasi della curva (cambio compreso se inseriamo almeno una componente di rilascio della gamba esterna, ma non voglio andare OT).
Anche in questo caso, non sto dicendo che l'azione di caviglia sia sufficiente per gestire totalmente le azioni sull'asse anteroposteriore: semplicemente rende tutto il resto molto più solido, rapido ed efficace.
Altro piccolo aspetto, che inserisco qui perché è correlato e non merita una discussione a parte: la contrazione volontaria del gluteo esterno alla curva. Argomento discusso sui livelli medio/alti, ho provato a farlo per lungo tempo senza riuscirci e non capivo perché. Se il bacino non è allineato correttamente, se c’è un minimo arretramento, non si riesce a creare una buona contrazione attiva del gluteo, non c’è verso. Ci si riesce invece quando l'allineamento è corretto, e di nuovo, la contrazione dei tibiali nel mio caso è risultata fondamentale. È quindi un ottimo feedback per capire se si è realmente allineati correttamente o se si ha solo l’impressione di esserlo.
Spero che questo post chiarisca qualche punto che ho lasciato scoperto nel primo capitolo, se vi sembra che manchi qualcosa sarei felice se voleste aggiungere ciò che credete opportuno.
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