Uscire dall euro e tornare alla lira....si può?

E se la deflazione salariale fosse invece voluta? Se fosse il meccanismo compensativo che esiste in luogo delle orrende svalutazioni monetarie? Da qualche parte le tensioni del cambio si devono sfogare, se blocchi il cambio dove si sfogano? Monti spiegò benissimo dove interveniva, distruzione domanda interna quindi calo delle richieste salariali (lo disse proprio, non sto inventando/interpretando). Credo tutti sappiate che l'attuale pressione fiscale+ contributiva drenerebbe qualsiasi incremento di ricchezza, per via salariale o patrimoniale è del tutto indifferente.
 
State andando un pò OT, però mi ci ficco

Lo Stato dovra' occuparsi di loro ... ma con quali risorse?

Il problema è che lo stato/ i nostri cari politici non comprendono il presente e soprattutto il futuro,soprattutto a livello industriale e della rivoluzione che l'automazione sta portando. Ci sarà sempre meno lavoro e sempre più specializzato, ma "l'introduzione" di continua e nuova forza lavoro, immigrati, non fa altro che diminuire il valore del lavoro ed i diritti del lavoratore. In un futuro l'idillio sarebbe avere poca popolazione e grandi aziende, forse chiedo un pò troppo :D.

La ridistribuzione della ricchezza sarà alla base del futuro, tassazione delle macchine e della loro produttività. L'altra sera ad un talk show un politico del PD affermava che per 10 persone che vanno in pensione, ce ne sono 10 che vengono assunte. Questi sono fuori dalla realtà! Ormai per 10 persone che vanno in pensione ci sarà 1 che viene assunto ed il restante lavoro viene preso dalle macchine. Ritengo che sia giunto il momento di tassare le macchine.

In questi giorni si parla della tassazione dei grandi come Facebook Google, Amazon e co. Per me è un argomento alquanto delicato e pericoloso. Nel caso in cui la normativa passi, potrebbe essere applicata anche ad tutte le aziende e visto che esportiamo molto, vorrebbe dire molte meno entrate allo stato italiano
 
Senza considerare su chi verrebbe girata la web tax, Besoz & c non dovranno fare altro che alzare i prezzi, oramai sono ultramonopoli.
 
Ma se per lo stesso prodotto venduto da Amazon ed un negozio italiano amazon paga ( o meglio non paga ) l`iva irlandese invece che quella italiana, le tasse sugli utili irlandesi invece che italuiane, per il negozio italiano, che da lavoro in Italia, non c`e' speranza di sopravvivere.
 
Ma se per lo stesso prodotto venduto da Amazon ed un negozio italiano amazon paga ( o meglio non paga ) l`iva irlandese invece che quella italiana, le tasse sugli utili irlandesi invece che italuiane, per il negozio italiano, che da lavoro in Italia, non c`e' speranza di sopravvivere.

Giusto: siamo in una unità monetaria con politiche fiscali diverse, un capolavoro.
 

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Se qui in canada ordino un prodotto su amazon, basandosi sull'indirizzo delle consegna, si applicano le dovute imposte provinciali ( qui le province hanno autonomia fiscale ). Non e' complicato. Basta volerlo fare.
 
Fiat vs VW: conosci la terra dove fiorisce il dumping?

Con l'aiuto di google e dell'archivio storico di repubblica ho trovato questo



- 1983/1984
Fiat 12,7%(1983) 13,8%(1984)
Ford 12,6%(1983) 12,8%(1984)
VW 12,8%(1983) 12,2%(1984)

"Nei primi sei mesi del 1984 la Fiat si è confermata la prima casa automobilistica in Europa per le vendite. Secondo dati non definitivi, infatti, la Fiat ha raggiunto una quota di mercato europeo (esclusa la Spagna) del 13,8 per cento, rispetto al 12,7 per cento dello stesso periodo dello scorso anno."



"In gennaio sono state vendute in Italia 174.820 autovetture contro le 161.721 del gennaio 1985. Le case italiane si sono assicurate il 60,6 per cento del mercato contro il 39,4 delle marche estere".

- 1986:
12,6% (senza quota Alfa)
"In questo quadro Fiat ha incrementato la sua quota in Europa dal 12,3 al 12,6 per cento con il contributo di quasi tutti i mercati. Questi dati, riferiti come è ovvio al 1986, risulteranno profondamente modificati alla fine dell' esercizio in corso poiché nei conti delle vendite Fiat entreranno anche quelle dell' Alfa assicurando così al gruppo torinese la leadership europea."

- 1988:
Fiat 14,9%
VW 14,6%
"Continua il boom delle vendite di auto in Europa e la Fiat conferma il suo primato continentale.
Il primo posto nella graduatoria delle marche con più clienti è sempre del gruppo Fiat che ha una quota del 14,9 per cento del mercato e ha consegnato 113.685 vetture in più (con una crescita del 7,49 per cento). Al secondo posto il gruppo Volkswagen che ha una quota del 14,6 del mercato con 44.380 consegne in più (aumento del 2,86 per cento)."

- 1989:
Fiat 16,2%
VW 13,5%
"Questo andamento contribuisce a definire le posizioni continentali che vedono ancora in testa la Fiat con un 16,2 per cento, seguita dalla Peugeot col 14, dalla Volkswagen con un 13,5".

- 1991: 14%
"il gruppo di Corso Marconi ha visto la propria quota di mercato erodersi nei primi due mesi dell'anno dal 54,6% al 47,4%. Il gruppo Fiat ha subito un calo del 12,3% nei primi due mesi del 1991, vedendo così ridotta la propria quota di mercato dal 15,5 al 14%."

- 1992: 12,5%
"Esattamente alla vigilia del salone dell' auto di due anni fa le marche nazionali, già allora ampiamente monopolizzate dalla Fiat, controllavano una fetta del mercato italiano del 57,19%, lasciando alla concorrenza estera l' altro 42,81; il solo marchio Fiat era oltre la soglia del 40% e la Lancia totalizzava un bel 10% tondo collocandosi al secondo posto su scala nazionale. Oggi la situazione appare quasi rovesciata: gli stranieri sono a quota 55,70 mentre il blocco di Torino è a 44,30. Insomma nove punti in meno che pesano sulla Fiat e sui suoi satelliti. In campo europeo sempre a quell' epoca la Fiat contendeva il primato alla potente Volkswagen arrivando in qualche caso a superarla. Oggi tra la casa di Volfsburg e quella di Torino ci sono quattro punti a vantaggio dei tedeschi."

- 1993: 12,2%
"Se l' hanno scorso Torino aveva il 12,5 per cento del mercato europeo, nel 1993 essa ha appena il 12,2 per cento.
(interessante analisi sulla svalutazione della lira che non ha aiutato le vendite Fiat)."
- Fiat (1994) 10,8% / (1995) 13%
- VW 16% / 14,5%
"La parola d' ordine è vendere più automobili all' estero, in attesa che anche in Italia si possa fare altrettanto. I risultati degli ultimi mesi dicono che ce la può fare. La situazione della lira soffia a suo favore, ma non è soltanto questo. Con i risultati di giugno sono andati oltre. In Italia il gruppo ha superato l' 8 per cento contro una media del 7,09 di aumento delle vendite; in Europa a fronte di un aumento medio del 13, il gruppo ha più che triplicato. Appena un anno fa un risultato del genere sarebbe stato a dir poco inimmaginabile."
"Nel primo mese del ' 95 sono state consegnate infatti 64 mila Punto, più delle immediate concorrenti Volkswagen Golf e Ford Fiesta. Non accadeva da otto anni, esattamente dal marzo del 1987.
Nella graduatoria redatta dall' Associazione dei costruttori europei, la Fiat figura con una quota di mercato che a gennaio è stata del 13 per cento contro il 10,8 dello scorso anno. La Volkswagen, che pure conserva il primo posto, perde però quasi due punti rispetto al 16 per cento del gennaio ' 94."
"La svalutazione della lira deve avere avuto la sua parte, ma Corso Marconi preferisce pensare che la sua sia un' inversione di marcia, per la quale le vicende monetarie sono state una delle componenti, non la sola. Gli incrementi di fatturato del gruppo, dell' auto in particolare, sono stati tali - nei primi due mesi di quest' anno - da far pensare a un consolidamento della ripresa, che già s' era annunciata nel ' 94."

- 1996
"Tra alti e bassi generali, c' è comunque da segnalare il buon andamento delle marche Fiat, Alfa Romeo e Lancia, sia in Italia (+5,4%) che sui mercati europei, dove la crescita è stata del 32,9%."

- 1996 l'italia rientra nello sme ed inizia di fatto l'euro

PS.: interessante analisi del mercato auto Italia nel 1992 e relative trasformazioni industriali, con profezia tedesca, e naturalmente Cofferati for president:
"A chi mi fa queste domande rispondo con un' altra domanda: si è valutato cosa significherebbe non entrare in Europa? Non arrivare a Maastricht può convenire alla Fiat ma sarebbe un danno gravissimo per gli impiegati e gli operai della Fiat". "Sulle pensioni prima bisogna dispiegare per intero la Riforma che ha come obiettivo quello di riportare ad un unico regime i 52 trattamenti previdenziali diversi che esistevano in Italia. E lì ci sono dei privilegi duri a morire".


http://vocidallestero.it/2017/07/28/politico-quei-disonesti-dei-tedeschi/


“Alla Germania nell’euro servivamo proprio perché deboli”. Parola di Visco
 

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La retorica dell'eccellenza

Il dibattito cui non avete potuto assistere a Maratea, per il quale ringrazio ancora la MADEurope Summer School e in particolare Riccardo Realfonzo, ha toccato in relativamente poco tempo (nonostante fosse quasi il doppio di quello inizialmente previsto: ma il pubblico non si è annoiato) una serie di temi cruciali. Io ho poca memoria, ma due osservazioni di Roberto Pizzuti mi sono rimaste particolarmente vivide in testa, se non altro perché le aveva già fatte in occasione della presentazione del mio primo libro a Roma.

La prima non merita una discussione molto ampia (anche se ovviamente sono disposto a confrontarmi con Roberto su questo laddove lui lo desideri): è l'idea che siccome "fuori" ci sono i mercatoni cattivi (per definizione), abbiamo bisogno di uno Statone buono che ci protegga, che li contenga, e questo Statone sarebbe l'Europa (in attesa di essere, si presume, il Mondo). In questo blog abbiamo dato spazio alle riflessioni di scienziati politici e ai dati di fatto. Il dato di fatto è che concentrare a Bruxelles poteri politici facilita i compiti delle lobby, e che nulla ci garantisce che lo "Statone" che creiamo operi nel nostro interesse, piuttosto che nell'interesse delle diverse decine di burocrati tedeschi che lo infestano. Il resto è wishful thinking. Poi ci sono le riflessioni degli scienziati politici sulle inefficienze del modello di integrazione che "abbiamo scelto" (traduzione: ci è stato imposto dalle potenze vincitrici dopo la Seconda Guerra Mondiale), ma queste le conoscete: vi rinvio al libro di Majone, che fa strame di certi argomenti.

La seconda osservazione invece merita un rapido commento, perché evidenzia come in effetti chi difende l'euro, che è una cosa storta, sia costretto a infilarsi in una serie di contraddizioni inestricabili (dalle quali non può uscire che con la retorica del "noi tireremo dritto", dell'"indietro non si torna", insomma: del "me ne frego" - dal che si intuisce che la legge Fiano potrà backfire...).

Ormai nessuno può negare che i paesi europei siano stati costretti dal legame monetario ad adottare la filosofia politica del più importante di loro, che data la sua massa li trascina con sè nell'abisso. Quale abisso? Quello che ti si apre davanti quando decidi di far concorrenza alla Cina sui prezzi, e a questo nobile scopo tagli i salari. L'idea diffusa in Italia è che la Germania debba il suo successo a una massiccia politica di investimenti: questo dicono gli euristi, sottolineando come agendo così, con oculatezza, la Germania abbia conquistato una superiorità tecnologica che le consente di raggiungere inarrivabili livelli di produttività ecc.

Poi, sempre nella stessa frase, i simpatici euristi ti dicono che se siamo in crisi è perché la Germania non fa sufficienti politiche espansive, con le quali sostenere la crescita dell'intera area. E tu chiedi: "Cioè?" E loro rispondono: "Cioè non fa sufficienti investimenti!"

Spettacolo!

Insomma: capita che, se non proprio nella stessa frase, quanto meno nello stesso articolo eurista, la Germania faccia e simultaneamente non faccia abbastanza investimenti!

Resta il dubbio di capire cosa faccia la Germania nei fatti, anziché nelle frasi, ma quel dubbio ce lo siamo tolto a suo tempo, e discende da una ovvia relazione contabile: S-I=X-M, anch'essa spiegata a suo tempo. Il dato è che la Germania soffre di carenza di investimenti e che la sua competitività non si articola quindi esclusivamente su una particolare superiorità etnico-tecnologica, ma beneficia largamente delle politiche di deflazione salariale, come ammettono ormai perfino i tedeschi, il che rende alquanto scandaloso che gli italiani si rifiutino di prenderne atto.

Ma non è questo che voglio farvi notare. Lenin diceva che i fatti hanno la testa dura, e Bagnai sommessamente aggiunge che gli euristi hanno la testa ancora più dura. Non c'è versi di contestare su base fattuale un argomento eurista: del resto, l'eurismo è una ideologia (in molti casi esplicitamente una ideologia di odio verso i paesi o gli individui "deboli") e sarebbe difficile aspettarsi una risposta razionale da chi argomenta sulla base di preconcetti. Voglio fare un'operazione logica diversa: seguire l'eurista nel suo ragionamento. E qui mi saldo all'intervento di Roberto, che, durante il dibattito, ha detto che noi (non ricordo se come Italia o come Europa) stiamo sbagliando con la politica di bassi salari, perché invece dovremmo investire in istruzione e ricerca, per competere sui prodotti ad alto valore aggiunto, dove partiamo da una posizione di vantaggio.

Ora, questa osservazione credo l'abbiate sentita spesso, e suona plausibile: "Basta con l'Italietta che produce solo ciabatte e tegamini! Abbiamo bisogno di un'economia 4.0 (NdCN: la 3.0 ve la ricordate voi? Io no!), tutta banda larga e innovazione, che ci mantenga sulla frontiera della tecnologia, dove eravamo stati messi da Leonardo da Vinci in un periodo in cui in Italia circolavano... no, aspè, questo non è importante...".

Ci siamo capiti, no?

Ecco, l'argomento è noto, ma ragioniamoci un po' su.

Che mondo hanno in mente gli euristi, quelli che ci dicono che in fondo il danno (visibile e ammesso dagli stessi industriali) che la valuta forte arreca alla nostra competitività è una mano santa per il nostro paese, perché "alzandoci l'asticella" (espressione che come "stampare moneta" è un marker significativo) ci condanna all'eccellenza? Al di là del discutibile darwinismo sociale implicito in questo modello (che poi è il darwinismo di tutti i modelli con agenti eterogenei: è un bene che gli inefficienti "muoiano", perché questo alza la produttività media del sistema), la domanda è: ma nel lungo periodo, poi, cosa succede?

Forse, per capire cosa intendo, può essere utile formulare la domanda in modo diverso: nella vostra vita di tutti i giorni, avete bisogno più spesso di una saponetta o di uno spettrometro di massa? Per raggiungere la vostra abitazione al quinto piano vi giovate di un ascensore o di un razzo vettore per satelliti geostazionari?

Sono due domande paradossali, ma non tanto quanto la retorica dell'eccellenza.

Supponiamo di diventare tutti "eccellenti": tutti laureati (altrimenti l'OCSE ci rampogna), tutti impiegati in grandi aziende (altrimenti il Fmi ci rimbrotta), e tutti in settori ad elevata tecnologia (altrimenti la Banca Mondiale chi la sente?), e supponiamo anche di essere tutti molto produttivi (altrimenti la Commissione inarca il sopracciglio), e di aver purgato, in senso staliniano, l'Italia da tutti gli individui "sotto la media" che magari vendono frutta al mercato o costruiscono armadi o posano piastrelle, in modo tale da produrre al minor prezzo possibile i beni ipertecnologici che il resto del mondo tanto appetisce, riportando così in equilibrio la nostra bilancia dei pagamenti e "competendo in eccellenza come la Germania". Questa Italia di superuomini, che a me sembra un sinistro incubo distopico, ma che i nostri illuminati governanti del "cosa fatta capo ha" e i loro intellettuali ci additano come luminoso traguardo, avrebbe risolto tutti i problemi... tranne uno: quello di importare dal resto del mondo tutti i prodotti a basso valore aggiunto, come pane, patate, salame, saponette, acqua minerale, mutande, scarpe, mobili, verdura, ecc.

E l'eurista dirà: "Poco male! Tanto esportando un ciclosincrotrone a Vanuatu possiamo comprarci tutta la produzione di patate della Germania...".

Ecco, ma appunto forse sfugge un dettaglio, anzi due: il primo è che il ciclosincrotrone non si mangia (anche se fritto viene buono tutto...), la patata sì; il secondo, incidentalmente, è che la Germania, e in generale i paesi core dell'Europa, chissà perché, la loro agricoltura e i loro settori "maturi" (banche territoriali incluse) li difendono, anziché denigrarli e accusarli di essere la palla al piede del paese.

Sarà perché preferiscono mantenere dei minimi margini di autosufficienza (anche alimentare)?

Insomma: mi avete capito. Devo ancora cominciare a parlarvi di statistica, e prometto che lo farò. Intanto, voglio invitarvi a diffidare di due medie, che nella prassi politica si presentano a coppie, come i carabinieri e un'altra cosa che non mi ricordo: la media di Trilussa, che è quella secondo cui io mi mangio un pollo e tu digiuni, e la media di Pizzuti, quella che si raggiunge quando tutta una collettività nazionale è sopra la media! Ora, il dato è che una popolazione non può essere tutta sopra la propria media, e questo non solo perché logicamente è impossibile, ma anche perché, come ho cercato di farvi capire, economicamente è inopportuno. La retorica dell'eccellenza è semplicemente la veste presentabile della prassi mercantilista: devo essere più bravo di te perché così camperò vendendo i miei prodotti a te (che comprerai, a vita...). Ma il mondo non può funzionare così, e, fra l'altro, è la stessa teoria delle aree valutarie ottimali a sconsigliare una simile rincorsa dell'ottimo (o, se preferite, un simile eccidio degli inefficienti). Lo chiarì Kenen nel 1969 che una eccessiva specializzazione espone i membri di una unione monetaria a "shock idiosincratici": se l'Italia produce solo pizza, o solo ciclosincrotroni, uno shock che colpisca uno di questi due mercati la mette in ginocchio. Il problema non è il valore aggiunto del bene prodotto. Il problema è che un paese di dimensioni non banali (alcune decine di milioni di abitanti) già in condizioni normali dovrebbe attrezzarsi per avere una base produttiva diversificata, per non dipendere interamente dall'estero. Se poi entra in una unione monetaria, questa esigenza di parziale o totale autonomia, da mera considerazione di opportunità politica, diventa condizione necessaria per la sopravvivenza del sistema.

Nel meraviglioso mondo distopico degli euristi e degli eurocrati il nostro paese sarebbe più fragile economicamente: le cose ad alto valore aggiunto sono anche quelle che costano di più, cioè le prime alle quali si rinuncia in caso di crisi (con l'ovvia eccezione delle armi, che però sollevano un problema etico). Chiaro quindi il punto, no? "Fare sistema", e slogan simili, non significa diventare tutti Pico della Mirandola. Significa immaginare una società nella quale ci sia un posto anche per l'idraulico e il fruttivendolo.

Ma questo chi è accecato dall'ideologia non lo ammetterà mai, e a chi non è accecato forse è superfluo dirlo...

- - - Updated - - -

Molto interessante.

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[URL="https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/18/quelli-che-leuro-era-giusto-ma-il-cambio-era-sbagliato/2385235/"]Quelli che ‘l’euro era giusto, ma il cambio era sbagliato[/URL]


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Paolo Cirino Pomicino sostiene che l’entrata nell’euro non fu di per sé un errore: l’errore fu entrarci al cambio sbagliato. Alla richiesta di precisare quale sarebbe stato quello giusto, precisa: “poco più della metà”. Insomma, il cambio corretto, secondo Cirino Pomicino, sarebbe stato di circa 1000 lire per euro (la conversazione, se interessa, è qui).

Qualcuno penserà: “Chiacchiere del sabato sera!”, e tirerà dritto. Sbaglierebbe. Quello che vi ho appena mostrato è in effetti un documento storico sconvolgente, e, se vorrete seguirmi, proverò a spiegarvi perché.

Intanto, rivolgo il mio pensiero ai più giovani, quelli che magari sono “euronativi” (nel senso che non hanno mai usato altra moneta che l’euro). Loro, legittimamente, possono ignorare chi sia Paolo Cirino Pomicino. Nato nel 1939, laureato in Medicina e chirurgia, era ministro del Bilancio e della programmazione economica quando, il 7 febbraio del 1992, venne firmato il Trattato di Maastricht. È stato quindi un politico influente: un medico titolare di un ministero economico all’epoca in cui l’Italia prese quella che ormai tutti riconoscono come una decisione quanto meno avventata, l’ingresso nella moneta unica. Preciso che il Trattato non lo firmò lui. Lo firmarono due suoi colleghi: Carli (Tesoro) e De Michelis (Affari esteri), per l’allora presidente della Repubblica italiana(Scalfaro).

E ora, rivolgo il mio pensiero ai meno giovani (cui appartengo), quelli che queste cose le ricordano, e che spesso sento svolgere “ragionamenti” analoghi a quelli di Cirino Pomicino: “Eh, ma il cambio era sbagliato! Eh, ma saremmo dovuti entrare a 1000 lire per euro! Eh, ma entrando a quasi 2000 i prezzi sono raddoppiati, e questo ci ha rovinato!”, ecc.

Vorrei sommessamente far osservare che purtroppo questi sono ragionamenti da bar, e per chiarirlo, ahimè, è necessario fare un piccolo sforzo: quello di ricordarsi come funzionava il Sistema monetario europeo (SME) prima dell’entrata nell’euro. Credo che lo sforzo valga la pena di farlo, perché permette di capire una volta per tutte due cose non banali:

1. che il cambio a 1936,27 lire per un euro non saltò fuori dal nulla e

2. che cosa sarebbe successo se avessimo dato retta a Cirino Pomicino entrando a 1000 lire per euro.

Vi ricordo che i paesi aderenti allo SME (fra cui noi) definivano il tasso cambio della propria valuta in termini di ECU (European Currency Unit). L’ECU era quindi una unità di conto (appunto, l’unità di conto europea), cioè una moneta scritturale. La storia è piena di valute simili, valute non coniate, ma usate per far di conto: era una unità di conto lo scudo di conto nella Roma papalina, lo è oggi il Diritto speciale di prelievo del Fondo Monetario Internazionale. Quali conti servisse a fare l’ECU ve l’ho appena detto: serviva a determinare il valore delle rispettive valute europee. Ad esempio: nel 1992 con un ECU si compravano 1587,48 lire, oppure 2,02 marchi tedeschi (per citare due valute appartenenti al sistema), dal che consegue che occorrevano 1587,48/2,02= 785,88 lire per un marco tedesco. Insomma, l’ECU non era materialmente possibile metterselo in tasca, eppure, dal 1989 al 1998, aveva governato le vite di ognuno di noi, perché il valore delle valute nazionali in Europa veniva stabilito con riferimento ad esso.

Il valore dell’ECU, a sua volta, da cosa era dato? Dalla media del valore di tutte le valute dei membri dello SME. L’ECU era cioè una “valuta paniere” (una valuta il cui valore dipendeva da quello di un “paniere” di valute, come il Diritto speciale di prelievo). Quindi la lira si indeboliva rispetto all’ECU (e quindi occorrevano più lire per comprarne uno) se una delle valute nel “paniere” (ad esempio il marco) diventava più forte.

Ora, ricorderete che l’art. 109j primo comma Trattato di Maastricht prevedeva che per almeno due anni prima dell’ingresso nell’Unione monetaria i paesi candidati non avrebbero dovuto svalutare la propria valuta rispetto all’ECU (fatte salve minime oscillazioni). Il senso era chiaro: prima del matrimonio (cambio irrevocabilmente fisso), buon senso chiedeva che ci fosse un periodo di fidanzamento, per vedere se si andava d’amore e d’accordo. La data del matrimonio (l’ingresso nell’euro) era il 1° gennaio 1999, quindi occorreva che i cambi fossero fissati dal 1997. Dato che a fine 1992 la lira svalutò, nel 1997 per acquistare un ECU ne occorrevano 1929,66 (più di prima). Questa quotazione venne “congelata”, ed è sostanzialmente identica alla quotazione “irrevocabile” definitiva, cioè al famoso 1936,27 (dalla quale dista dello 0.3%).

Da questa storia, che è nei dati e in ogni libro di testo, traiamo due conclusioni pratiche, utili per orientarsi in un dibattito spesso dilettantesco o volutamente confuso:

1. in pratica noi nell’euro ci siamo entrati nel 1997, perché è da quella data che la lira non si è più potuta aggiustare rispetto alle valute dei principali partner europei (dato da non ignorare, per non restare vittima dei tanti furbetti in circolazione);

2. se nel 1999 avessimo preso la decisione geniale di entrare a 1000 lire per euro, di fatto avremmo rivalutato (prendendo come base la quotazione del 1997) di circa il 93%.

Questo, credo, lo capiamo tutti: se invece di “comprare” un euro con quasi 2000 lire lo avessimo “comprato” con la metà (1000 lire), vuol dire che l’euro avrebbe avuto il doppio del valore.

Quindi saremmo stati il doppio più ricchi, come evidentemente pensa Cirino Pomicino? Figata! E perché mai allora non ci abbiamo pensato all’epoca? Forse che Ciampi, ministro del Tesoro, bilancio e programmazione economica del governo D’Alema, cioè il successore di Cirino Pomicino in carica il 1° gennaio 1999, era un sempliciotto? Non credo proprio lo si possa dire.

Credo invece che a Cirino Pomicino, e a molti suoi e miei coetanei sparsi per i vari bar della penisola, sfuggano due dettagli, che tali non sono:

1. il valore di una valuta non si decide con un tratto di penna, ma lo stabilisce il mercato (e per il mercato un ECU/euro stava da qualche parte intorno alle 1930 lire);

2. una rivalutazione del 93% ci avrebbe reso più ricchi il primo giorno, e poi ci avrebbe sbriciolato.

Capiamoci: certo che chi come me aveva una busta paga attorno ai due milioni si sarebbe trovato in tasca 2000 e non 1000 euro: il doppio! Certo che per alcuni furbetti sarebbe stato più difficile prezzare a un euro (cioè a duemila lire) quello che fino al giorno prima costava 1000 lire. Ma sarebbe successa anche un’altra cosa, che vi spiego con un semplice esempio. Una Fiat Punto all’epoca costava 17.700.000 lire. Al tasso di conversione ufficiale (cioè dividendo per 1936,27 e arrotondando) facevano 9.150 euro (9.141,28). Al tasso “Pomicino” (cioè dividendo per 1000) avrebbero fatto 17.700,00 euro, cioè quasi il doppio. E voi direte: “Bè, ma che ce ne sarebbe importato! Tanto avremmo avuto anche il doppio di euro in tasca!”

Ecco: noi sì, ma gli altri europei? I tedeschi, ad esempio, entrarono a circa due marchi per ECU (cioè a circa 1000 lire per marco). Se noi fossimo entrati a 1000 lire (anziché circa 2000), per loro la nostra Punto sarebbe costata dall’oggi al domani circa il doppio (17.700 euro anziché 9.150). E lo stesso sarebbe valso per tutti i nostri prodotti esportati verso l’Eurozona.

Chiaro il concetto? La rivalutazione realizzata entrando a 1000 lire sarebbe stata neutrale sul mercato interno, ma catastrofica su quello estero: si stima che un simile raddoppio dei prezzi italiani avrebbe determinato un dimezzamento delle nostre esportazioni. Dall’oggi al domani le imprese italiane avrebbero fatturato 150 miliardi di euro in meno sui mercati esteri.

Certo, c’è un colossale “a meno che”: a meno che i tedeschi non avessero deciso anche loro di rafforzare di conserva il marco, entrando a un euro per marco (anziché per quasi due marchi): nel qual caso, avendo entrambi (noi e loro) raddoppiato il valore nominale delle nostre valute rispetto alla nuova unità di conto, il rapporto fra i nostri e i loro prezzi sarebbe rimasto inalterato. Ma se pensate che i tedeschi siano entrati nell’euro per “rafforzare” la loro valuta, forse vi sfugge una cosa che Vincenzo Visco ha spiegato tanto bene a Stefano Feltri: alla Germania faceva comodo un euro debole (e per questo ci voleva dentro).
 
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Gli utenti più rappresentativi del degrado culturale in corso sono quelli che nei vri social network copia-incollano gli aforismi e le citazioni di filosofi e scrittori.
Tutti quelli che leggono con un'alta frequenza skiforum spero vivamente provino un senso di disgusto quando incontrano cose di questo tipo:

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Tutto noi abbiamo conoscenti di quel tipo.
E tutti noi abbiamo la stessa opinione: "Quello copia-incolla bellissime frasi di cui non sa capire il significato".
Potrei permettermi di pensare lo stesso verso chi partecipa con la modalità "copio-incollo" in questa discussione? Forse no. Ma forse sì.
Uno che capisce a fondo il significato di un testo sa ripresentarlo in modo sintetico. Chi non lo capisce a fondo fa "copia-incolla"

Wow, che immaginette toccanti sto vedendo!
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Gli utenti più rappresentativi del degrado culturale in corso sono quelli che nei vri social network copia-incollano gli aforismi e le citazioni di filosofi e scrittori.
Tutti quelli che leggono con un'alta frequenza skiforum spero vivamente provino un senso di disgusto quando incontrano cose di questo tipo:


Tutto noi abbiamo conoscenti di quel tipo.
E tutti noi abbiamo la stessa opinione: "Quello copia-incolla bellissime frasi di cui non sa capire il significato".
Potrei permettermi di pensare lo stesso verso chi partecipa con la modalità "copio-incollo" in questa discussione? Forse no. Ma forse sì.
Uno che capisce a fondo il significato di un testo sa ripresentarlo in modo sintetico. Chi non lo capisce a fondo fa "copia-incolla"

Wow, che immaginette toccanti sto vedendo!


Sei fuori tema.
E sei in versione flame.

La vera domanda è:
perché questo tuo comportamento?
 
Perchè è bello stimolare la gente a scrivere opinioni di proprio pugno.
Immagina di essere al bar o in seggiovia. Se uno ti chiede cosa ne pensi della moneta unica, non penso che rispondi facendo partire un mp3 registrato nel cellulare, o caricando un video youtube in cui prendi i primi 5 minuti di Borghi e poi 3 minuti di Draghi, etc.

Se serve per un approfondimento ci sta, ma per discutere è molto più piacevole avere uno scambio tra opinionisti e non tra "citatori seriali".
Concordi, discordi o mi risponderesti così:

https://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_indeterminazione_di_Heisenberg
In meccanica quantistica, il principio di indeterminazione di Heisenberg stabilisce i limiti nella conoscenza e nella misurazione dei valori di grandezze fisiche coniugate[SUP][1][/SUP] o, nelle formulazioni più recenti e generali, incompatibili[SUP][3][/SUP] in un sistema fisico.


Molte grazie per lo sforzo che ognuno di noi pone nel tentare di scrivere idee di proprio pugno.
 
Inizio OT

Perché si può spostare/portare la discussione a un livello più alto di quello da "bar sport".
Perché sulla meccanica quantistica riporterei Rovelli.

Fine OT



aggiornamento del 03 Ottobre 2017





Non è futuro :D




visto che per 3 volte è stato cancellato il mio post del 30 settembre 2017, riposto

ah, l'evoluzione a quello postato qui sotto è proseguito così:

in mia risposta a ilmark
Ti vorrei far presente che il post a cui tu ti riferisci è sparito ( non per mano mia, né per mia volontà ) :shock:
Per ben 3 volte!!!

Senza dirmi il perché!!!

Come vogliamo chiamarlo questo comportamento?

Questo è il fatto preoccupante, non quello che tu fraintendi e che travisi frasi da me mai scritte (magari poi dici che è solo ironia :evil:)


con relativa risposta di Fabio :shock::shock::shock::shock:

Mi pare ovvio. Non penso serva anche scrivere il perchè.
Sono stato io: in questo forum di discussione, si discute. Il copia/incolla selvaggio non piace. Piace quando è di supporto a un'idea scritta di propria mano.
Ci sono già altri social network in cui regna il vuoto e gli unici contenuti sono link a cose scritte da altri. Se riesco vorrei SF rimasse pieno. Grazie. Ciao. Buona giornata.
Censura maledetta e lesione della libertà. Intollerabile secondo me.
Io non scriverei mai in un sito in cui ritengo non ci sia libertà di espressione.


quindi questo è:

UN POST FANTASMA che dovrebbe essere censurato

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200897-dkgro-xuay6-gj.jpg





http://icebergfinanza.finanza.com/2017/09/25/elezioni-germania-collasso-merkel/

http://vocidallestero.it/2017/09/29...del-programma-di-alternative-fur-deutschland/

http://temi.repubblica.it/micromega-online/giacche-in-germania-ha-vinto-la-protesta/

http://vocidallagermania.blogspot.it/2017/09/lincubo-di-parigi-e-roma-si-chiama.html

https://www.academia.edu/34710434/_...ttembre_2017_Intervista_di_Federico_Fer raù_

Deutschlandfunk.de intervista Toncar della FDP sull'unione di trasferimento e sul discorso di Macron: il deputato ribadisce la contrarietà della FDP "alla creazione di un meccanismo europeo per la redistribuzione automatica delle risorse". Da deutschlandfunk.de


Il tempo sta scadendo: no, l’incidente di Angela Merkel, non ci voleva

Le elezioni per il rinnovo del Bundestag hanno inflitto un durissimo colpo alla Grande Coalizione di governo: mai CDU-CSU e SPD avevano ottenuto un risultato così magro negli ultimi 70 anni. Pesano la politica delle “porte aperte all’immigrazione” che ha caratterizzato la legislatura, ma anche il malessere economico delle fasce più deboli, ingabbiate tra “mini-job” e redditi stagnanti: due fattori che hanno gonfiato il voto anti-sistema e sancito l’exploit di Alternativa per la Germania, soprattutto nella ex-DDR. L’inamovibile Angela Merkel resta alla Cancelleria, ma la formazione del nuovo governo sarà tutt’altro che facile: pessima notizia per la “riforma dell’eurozona” che avrebbe dovuto essere lanciata a breve dalla coppia Macron-Merkel. Il tempo, infatti, sta scadendo per tutti.

I grandi sconfitti delle elezioni tedesche: il presidente Emmanuel Macron e l’eurozona
Domenica 24 settembre si è svolto il secondo ed ultimo appuntamento elettorale del 2017 di rilevanza strategica: 61 milioni di tedeschi sono stati chiamati alle urne per il rinnovo del Bundestag e per decidere chi guiderà la Germania nella prossima (decisiva) legislatura. L’attesa attorno all’appuntamento era grande, per due motivi: primo, si trattava del primo voto nazionale dopo l’ondata migratoria record del 2015/2016, secondo, si sarebbero decise le sorti del “leader del mondo libero”1, Angela Merkel, promossa a beniamina dell’establishment liberal dopo la debacle di Hillary Clinton. Il successo o meno della cancelliera era così importante perché dalla cancelliera dipende la tenuta del blocco UE/NATO: è Angela Merkel che ha imposto al resto dell’Europa le sanzioni alla Russia, è Angela Merkel che ha garantito sinora l’integrità dell’eurozona, è Angela Merkel che ha assecondato la politica delle porte aperte all’immigrazione, è Angela Merkel che, sopratutto, può avvallare quelle riforme indispensabili per la sopravvivenza dell’Unione Europea.

Come sono quindi andate le elezioni tedesche? L’establishment euro-atlantico è riuscito a ripetere la felice impresa delle presidenziali francesi, vinte dall’ex-Rothschild Emmanuel Macron? No, decisamente no. L’esito è stato molto deludente e, considerata la prossima evoluzione della situazione europea, quasi drammatico, benché politici, commentatori e mercati finanziari si guardino bene dall’evidenziarlo.

Cominciamo dai semplici dati: la Grande Coalizione, alla guida della Germania dal 2013, è stata sonoramente bocciata dagli elettori, regalando alle due formazioni, CDU-CSU e SPD, il peggior risultato dalla nascita della Repubblica Federale. Perdita secca di 8 punti percentuali per i cristiano-democratici (dal 41% del voto popolare al 33%) e di 5 punti percentuali per i socialdemocratici, scivolati dal 25% al 20%. Parallelo all’indebolimento dei due storici partiti tedeschi (ridotti ormai al 53% delle preferenze), è l’exploit delle forze minori: i liberali della FDP (10%), schierati su posizioni relativamente euroscettiche e pro-Russia, ed i “populisti-xenofobi-antieuro-nazisti” (dimentichiamo niente?) di Alternativa per la Germania, saliti al 12,5% ed entrati così al Bundestag con 94 deputati.

A decretare la crisi della Grande Coalizione è stata, senza dubbio la “politica delle porte aperte”, imposta alla Merkel da quegli poteri che l’hanno installato alla cancelleria: se la “via balcanica” non fosse stata provvidenzialmente chiusa nella primavera del 2016, il risultato di domenica sarebbe stato ancora peggiore. Tuttavia, non deve essere neppure sottovaluto il malessere economico che affligge ampi strati della popolazione tedesca: schiacciati tra precarie condizioni di vita e mini-job, i tedeschi della ex-DDR hanno votato in massa per l’estrema destra e l’estrema sinistra, sfiduciando così un governo che si è dimostrato più attento ai “profughi” che ai proprio cittadini.

I guai cominciano adesso. Sfibrati da una decennale emorragia di voti (Gerhard Schröder aveva ancora raccolto il 34% delle preferenze nel 2005), i socialdemocratici, a distanza di poche ore dal voto, chiudono le porte all’ennesima Grande Coalizione. Non sono escludibili clamorosi ripensamenti (dopotutto, il presidente Martin Schulz è molto sensibile alle sirene europee), ma è altamente probabile che la SPD faccia di tutto per rimanere all’opposizione: è concreto, infatti, il rischio che la socialdemocrazia tedesca faccia la fine di quella francese. L’evaporazione.

Scartata la Grande Coalizione, si aprono due strade: l’immediato ritorno alle urne, o la cosiddetta coalizione “Giamaica”, dal colore di cristiano-democratici, verdi e liberali. La prima opzione è da scongiurare ad ogni costo: introdurrebbe ulteriore incertezza in Europa e rischierebbe di aumentare il consenso dei populisti. La tendenza di fondo dell’Unione Europea è, poi, quella di chiamare sempre meno i cittadini alle urne. La seconda opzione, quella della coalizione nero-giallo-verde, è la più quotata, ma ha una seria controindicazione: contempla l’ingresso nell’esecutivo dei liberali, schierati su posizioni molto più euroscettiche della CDU, per non parlare dei verdi. La FDP ha imbastito la campagna elettorale sul “nein” al trasferimento di denaro dalla Germania al resto dell’Europa, sul “nein” a qualsiasi condivisione del debito, sul “nein” ad un ministro europeo della finanze. I liberali sono quindi pienamente ascrivibili a quella schiera di falchi-rigoristi contrari a procedere con l’integrazione dell’eurozona: bilancio comune, tesoro unico e Stati Uniti d’Europa. È una schiera che si sta drammaticamente ingrossando, anno dopo anno: ristretta all’inizio ai soli falchi della CDU-CSU (si veda l’odiatissimo Wolfgang Schäuble), conta oggi anche i liberali ed i 94 deputati di AfD.

L’intera Germania si sta progressivamente spostando a destra, complicando pericolosamente la tenuta della moneta unica e dell’Unione Europea. Una Germania nazionalista, gelosa della propria sovranità economica e finanziaria, è infatti incompatibile con gli Stati Uniti d’Europa che, al contrario, implicano la diluizione dei singoli Stati in un’entità sovranazionale. Ecco perché l’esito delle elezioni di domenica scorsa è così esplosivo, benché tutti si guardino dall’evidenziarlo: lo sfaldamento della Grande Coalizione, l’indebolimento di Angela Merkel e l’avanzata dei “nazionalisti” rende drammaticamente difficile apportare all’eurozona quelle modifiche indispensabili per resistere all’aumento dei tassi e/o alla prossima recessione. Modifiche che, in ottica tedesca, sono sinonimo di trasferimento di denaro verso l’europeriferia.

Il copione studiato dell’establishment euro-atlantico avrebbe dovuto procedere così: la parte debole, ossia la Francia (disoccupazione doppia della Germania, debito pubblico esploso al 100% del PIL ed una società in ebollizione), propone di procedere con l’integrazione europea, mentre il contraente forte, ossia la Germania, “accetta” benevolmente le proposte del partner. Si assite quindi ad un Emmanuel Macron che, appena insediatosi all’Eliseo, avanza una sua agenda per “riformare” l’eurozona: ministro delle finanze europee, un budget comune e (pillola più amara) l’emissione comune di titoli di debito. L’ex-banchiere Rothischild accantona così lo storico e (tutt’ora) radicatissimo nazionalismo francese, pur di procedere con gli Stati Uniti d’Europa. Le elezioni di domenica rendono però impossibile alla controparte tedesca, la cancelliera Angela Merkel, di seguire il copione stabilito: attuare le proposte avanzate da Parigi, sarà difficilissimo col nuovo Bungestag. Non è un caso che il francese Le Figaro abbia titolato “Le demi-succès de Merkel, l’échec de Macron”2: la mezza vittoria della Merkel, la sconfitta di Macron e, aggiungiamo noi, la debacle di quei poteri euro-atlantici che si nascondono dietro i due.

La moneta unica è agli sgoccioli: la finestra temporale che intercorreva tra l’insediamento di Macron ed i primi mesi del quarto mandato di Angela Merkel era probabilmente l’ultima occasione per strappare una qualche forma di condivisione fiscale dentro l’eurozona, così da assicurarne la sopravvivenza. La sostanziale sconfitta della cancelliera tedesca, blocca l’attuazione di questo piano nel prossimo futuro e, ogni mese che passa, aumentano le probabilità che la “riforma dell’eurozona” non veda mai la luce: si offusca rapidamente la stella di Macron, crescono le spinte centrifughe nel resto dell’Unione Europea, si logora la cancelliera tedesca.

Da tenere sotto osservazione è, in particolare, il rapidissimo disfacimento della presidenza Macron: salutato come il salvatore della Repubblica e dell’Unione Europea dopo la vittoria su Marine Le Pen, l’ex- Rothschild sta sperimentando una caduta negli indici di gradimento peggiore di quella vissuta da François Hollande3. Non solo, la sostanziale sconfitta di “En Marche” alle elezioni per il rinnovo del Senato francese4 (tenutesi il 24 settembre, in concomitanza a quelle tedesche), complica drammaticamente il progetto di Emmanuel Macron di riformare la Costituzione francese: l’enfant prodige, non disponendo dei 3/5 del Parlamento, potrebbe essere tentato di procedere appellandosi direttamente all’elettorato5, cadendo così nella stessa trappola del referendum costituzionale che ha decretato la morte politica di Matteo Renzi.

Su tutto grava il temutissimo rialzo dei tassi della Banche Centrali e la scadenza, ormai relativamente vicina, del mandato di Mario Draghi, che ha sinora iniettato liquidità nell’eurozona nonostante i forti mal di pancia tedeschi: le condizioni che hanno consentito all’eurozona di vivacchiare (2012-2017) verranno presto meno e la moneta unica, banale regime a cambi fissi, andrà incontro al giudizio finale senza che sia stata apportata nessuna di quelle riforme (Tesoro unico e Stati Uniti d’Europa) per cui era stata concepita.

No, l’azzoppamento di Angie non ci voleva proprio. Scheiße!

1http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Con-Trump-alla-Casa-Bianca-Merkel-nuova-leader-del-mondo-libero-c072093c-af4d-42a1-a3ae-1260e2c15fe5.html

2http://www.lefigaro.fr/vox/monde/2017/09/25/31002-20170925ARTFIG00058-le-demi-succes-de-merkel-l-echec-de-macron.php

3http://www.francesoir.fr/politique-france/popularite-cote-de-macron-recul-effondre-encore-le-president-fait-pire-hollande-sondage-baisse-score-impopulaire

4http://www.repubblica.it/esteri/2017/09/24/news/prima_sconfitta_per_emmanuel_macron_alle_senatoria li-176415695/

5http://www.repubblica.it/esteri/2017/09/24/news/prima_sconfitta_per_emmanuel_macron_alle_senatoria li-176415695/

aggiornamento: 16 novembre 2017

2018, Italia al bivio: commissariamento o uscita dall’euro


17 NOV 2017 10:44
A 50 GIORNI DALLE ELEZIONI, LA MERKEL ANCORA IN ALTO MARE: NON DECOLLA LA MAGGIORANZA “GIAMAICA” CON VERDI E LIBERALI – E CI SI METTONO PURE GLI ALLEATI BAVARESI A METTERE I BASTONI FRA LE RUOTE DELLA CANCELLIERA SUGLI IMMIGRATI


L’Spd vota sì all’accordo con Merkel Germania verso la Grande Coalizione
Passa la linea del leader socialdemocratico Martin Schulz. Al congresso riunito a Bonn i voti favorevoli sono stati 362, 279 i contrari




Germania, Schulz rinuncia al ministero degli Esteri

21/02/2018

Questi sono gli intelligenti :skifrusta:, gli illuminati :KEV che capiscono tutto, per esempio:

Aspetta, dimmi se ho inteso il messaggio che vuoi veicolare.
Giusto per essere chiari, la (tua?) tesi è che la moneta unica Europea porterà al nazismo?

Se c'hai preso, chapeau!
La mia paura è che tu ti sia letto anche tutta quella massa informe :PAAU.
E nel caso meriteresti una medaglia al valore HIHIHI.

... e purtroppo la realtà tende sorpassarli quasi sempre:

AfD surpasses SPD for first time in German poll

The far-right Alternative for Germany (AfD) party narrowly surpassed the center-left Social Democrats for the first time in a national poll on Monday.

The poll by Insa, commissioned by Bild newspaper, showed the AfD at 16 percent support compared to the SPD at 15.5 percent — a new low for what has traditionally been one of Germany’s largest parties.


Angela Merkel’s conservative CDU/CSU bloc reached 32 percent support, which was an increase of 2.5 percentage points from last week’s survey.

The poll comes at a time when the SPD is wrestling with infighting and trying to decide the future direction of the party. Its former leader, Martin Schulz, stepped down last week, leaving the party leadership in turmoil.

The SPD received its worst post-war election result in September’s ballot and initially refused to rejoin a government with Merkel’s conservatives. But the party eventually came around to the idea of another “grand coalition” when it appeared there were few other options, angering some members who argued it would suffer further losses if it continued as a junior coalition partner under Merkel.

SPD members are set to make a decision on March 4 on whether to approve a coalition deal reached with the conservatives.

La Merkel sta formando una coalizione col partito sbagliato


04/03/2018

In concomitanza con le nostre elezioni, in Germania l'SPD dice sì alla groko
http://www.dagospia.com/rubrica-3/p...cchia-fa-buon-brodo-germania-passa-168529.htm

27/06/18

SULL’ORLO DI UNA CRISI DI MERKEL – LO SCONTRO CON SEEHOFER È SEMPRE PIÙ DURO, E NON RIGUARDA SOLTANTO I MIGRANTI – IL MINISTRO DELL’INTERNO VUOLE SMARCARSI DALL’ALLEANZA CDU-CSU (CHE DURA DAL 1948) PER PRESENTARE IL PARTITO BAVARESE SU SCALA NAZIONALE – ALLA CHIUSURA DELLA CAMPAGNA ELETTORALE REGIONALE È STATO INVITATO KURZ, E NON ANGELA…
 
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