TTIP (trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti )

pierpa

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Transatlantic Trade and Investment Partnership, è da un po' che se ne sente bisbigliare sopratutto in rete sui blog / siti alternativi e http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_transatlantico_sul_commercio_e_gli_investimenti
http://orizzonte48.blogspot.it/2014/03/il-rabbioso-tramonto-delleuro-il-ttip-e.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2014/07/ttip-tisa-ue-e-il-doppio-grado-di.html
http://ilblogdilameduck.blogspot.it/2014/04/bad-ttip.html
http://il-main-stream.blogspot.it/2014/07/dalla-spagna-sul-ttip.html
http://il-main-stream.blogspot.it/2014/04/ancora-sul-ttip.html
cosa ne pensate?

http://goofynomics.blogspot.fr/2014/11/ttip-la-storia-si-ripete.html

TTIP: la storia si ripete
La crisi è democratica: colpisce la maggioranza. Le persone colpite, che appartengono agli ambiti più disparati, ogni tanto reagiscono, e lo fanno in base al proprio bagaglio culturale e alla propria esperienza di vita, com'è normale che sia, e ciascuno ponendo se stesso, quello che sa e quello che ha fatto come chiave di lettura privilegiata. È umano. Abbiamo così letture botaniche della crisi, letture filateliche della crisi, letture giuridiche della crisi, letture naturalistiche della crisi, e chi più ne ha più ne metta.

Da ognuno c'è qualcosa da imparare, ma rimane il fatto ineludibile che questa è una crisi economica, cioè quella cosa che si verifica quando per motivi che abbiamo illustrato tante volte la gente si trova senza soldi in tasca. Va anche ricordato che, come i marZiani dovrebbero sapere e come una lettura anche superficiale dei fatti dimostra (soprattutto in Italia), le dinamiche economiche reggono quelle politiche, che a valle reggono quelle giuridiche, ed è questo simpatico trenino, guidato dalla locomotiva "Economia", che ci porta a spasso per le interminate praterie della SStoria.

Deriva da questo semplice (ma ineludibile) fatto il vantaggio comparato di questo blog. So che dispiace a molti, ma per fortuna piace a voi, e tanto mi basta.

Oggi voglio parlarvi, da economista, e più precisamente da economista applicato, del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Parlare di un trattato commerciale in chiave economica è, lo premetto, una lettura riduttiva, e lo sappiamo benissimo. Quello che inquieta del TTIP sono alcuni aspetti giuridici, in particolare giurisdizionali, come la possibilità, che abbiamo sentito evocare più volte, per le imprese multinazionali di chiamare in giudizio gli Stati sovrani (?) che non si attengano alle prescrizioni di liberalizzazione del mercato che il trattato promuove (e che si riferiscono, badate bene, non alle barriere tariffarie - cioè ai dazi - ormai in via di definitivo smantellamento nel quadro dell'OMC, ma a quelle non tariffarie, cioè alle normative ambientali, igieniche, di sicurezza alimentare e fisica, ecc.). Insomma, la famosa fiorentina all'ormone della quale sentite ogni tanto parlare sui giornali. Rimarrà deluso Emilio Pica, che in un afflato socratico ci ha confessato di amare le donne androgine: nel meraviglioso mondo del TTIP tutti avranno una sesta di reggiseno, anche i maschietti.

(ah, Emilio, però quella me piace pure a me, sia chiaro: homo sum, nihil humani mihi alienum puto. E la Nappi la apprezzo più come filosofa...)

Questo, naturalmente, per quanto riguarda la parte "trade". Poi c'è quella investment, che lasceremo da parte.

Parlare di un trattato commerciale in chiave economica è quindi riduttivo, ma, come vedrete, indispensabile per cogliere pienamente il carattere truffaldino e antidemocratico dell'operazione in corso, un'operazione che, come solo un economista può aiutarvi a cogliere pienamente, è del tutto isomorfa a quella compiuta col Trattato di Maastricht. Vengono cioè vendute agli elettori come conquiste assodate risultati di studi metodologicamente dubbi, palesemente in conflitto di interessi, i cui risultati vengono proposti orchestrando un falso pluralismo, e dietro ai quali ci sono, ovviamente, i soliti noti.

Il prequel
Come andò con il Trattato di Maastricht lo sapete e comunque ve lo ricordo in l'Italia può farcela. Michael Emerson, Jean Pisani-Ferry e Daniel Gros, prezzolati dall'Unione Europea (perdonatemi: "pagati" non è il verbo giusto, anche perché sono morte delle persone, chiaro?), nel loro studio One market, one money, affermarono che “a major effect of EMU is that balance of payments constraints will disappear in the way they are experienced in international relations. Private markets will finance all viable borrowers, and saving and investment balances will no longer be constrained at the national level” (Emerson et al., 1990, p. 24). Notate la raffinatezza della loro linea di attacco. Studiosi come Kaldor avevano da tempo ammonito che una moneta senza stato avrebbe disintegrato politicamente l'Europa, in particolare perché avrebbe creato squilibri che sarebbe stato necessario rifinanziare attraverso un budget federale. E allora i tre porcellini che si inventano? L'uovo di Colombo: loro sostenevano che non ci sarebbe mai stato bisogno, per il Nord, di rifinanziare il debito del Sud mediante trasferimenti, perché i mercati finanziari avrebbero prestato solo a chi fosse stato in grado di generare sufficiente reddito da ripagare i debiti (i “viable borrowers”, appunto). Ritenevano, cioè, i nostri amici, che non sarebbe stato necessario costituire uno Stato europeo, almeno nell’immediato, perché il mercato, che non può sbagliare, avrebbe pensato da sé a trasferire ove necessario i fondi, all’interno della nuova area finanziariamente integrata, senza bisogno di costruire un bilancio federale, e anzi affidando ai bilanci pubblici nazionali il compito di “respond to national and regional shocks through the mechanisms of social security and other policies” (ibidem)[ii]. Non ci sarebbe quindi mai stata una crisi di debito estero all'interno dell'Unione Monetaria (tesi che alcuni economisti ancora oggi sostengono - vedi Boldrin - ma che è sconfessata dai fatti e dall'interpretazione della stessa Bce).


Infatti, che le cose non siano andate come Pisani-Ferry sosteneva (e Boldrin sostiene), ce lo ha spiegato Constâncio(2013) (ma anche De Grauwe 1998); prima che i tre porcellini si esprimessero, come sarebbero andate le cosa lo avevano chiarito Thirlwall 1991, e subito dopo Feldstein 1992, e decenni prima Kaldor 1971 e Meade 1957. Se siamo nei guai è proprio per colpa degli errori dei mercati finanziari privati, che hanno accumulato insostenibili debiti esteri all’interno dell’Eurozona. Quindi i tre porcellini mentivano sapendo di mentire, perché erano pagati per mentire.

Il percorso è sempre quello: da Pangloss ("tutto va per il meglio nel migliore dei mercati possibili") a Eichmann ("non sapevo, eseguivo gli ordini"), con biglietto di andata e ritorno, perché in mancanza dei drastici rimedi adottati dal governo israeliano nel caso in specie gli illustri colleghi rimangono disponibili ad appoggiare il progetto successivo. Ma le "incognite" delle quali parla Pisani-Ferry tutto erano fuorché "incognite": i rischi dell'Unione Monetaria erano stati denunciati dalla letteratura accademica e divulgati sulle più importanti testate finanziarie internazionali. Quindi "io non sapevo" meriterebbe il trattamento che ha avuto in altri tribunali, ma passons. Noi siamo per la non violenza, cioè per subire la violenza, non per esercitarla, perché gli altri, come vedete, tanti scrupoli purtroppo non se li fanno.

Il sequel
E oggi? Come vanno oggi le cose, con il TTIP? Nello stesso identico modo. Ci vengono proposte come verità oggettive i risultati di studi basati su una cieca fede nella capacità autoequilibrante del mercato, studi dei quali fin da ora è possibile sconfessare gli errori metodologici, ma, attenzione: gli studi vengono a valle di decisioni politiche già prese (come fu per One market, one money)...

Ci aiuta a orientarci un recente studio di Jeronim Capaldo, The Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership: European Disintegration, Unemployment and Instability.

Non lasciatevi fuorviare dal nome: nonostante la collocazione negli States, il Jeronim cui facciamo riferimento non è questo, è questo. Jere è romano de Roma, ma la sua mamma no, da cui la scelta un po' esotica del nome di battesimo. Io ho studiato Ragioneria I con suo zio, sono stato in commissione ricerca alla Sapienza con sua madre, e molti di noi sono stati, credo, clienti della sua famiglia (com'è piccolo il mondo...). Lui, a sua volta, è stato mio "cliente" quando ero ricercatore in econometria alla Sapienza, nel lontano anno accademico 2001-2002, quando discusse una tesina sulla curva di Phillips (pensa un po' te...). Ora è finito qui, da dove è stato mandato qui a lavorare sul Global Policy Model. Mi illudo di essergli stato un po' utile (o per lo meno lui la pensa così), e sono contento che ci sia un economista eterodosso infiltrato a Ginevra. Sì, perché Jere è relativamente "de sinistra". Certo, questo lo ha portato a commettere un errore cruciale: ha diffuso in Italia i risultati del suo pregevole studio tramite un forum che nessuno legge (rank in Italy: 27804, secondo Alexa oggi), perché, come sapete, ha tradito. Lo Sbilifesto merita di essere consegnato all'oblio (e li esorto a considerare che, per quello che hanno fatto - soffocare scientemente il dibattito sulla moneta unica, quel dibattito che sono riuscito a portare dove sapete - l'oblio è molto meglio dell'alternativa), però lo studio di Jere no, e visto che uno di voi me l'ha segnalato, ne faccio una simpatica sintesi per i diversamente europei e diversamente economisti. Gli faremo così risalire più di 24000 posizioni in termini di visibilità: mi aspetto una cassetta di vino per questo, va da sé...

Dunque: il copione è sempre il solito. Esattamente come in One market, one money:

1) vengono proposti come vantaggi certi e determinanti dei vantaggi aleatori ed irrisori;
2) non vengono quantificati i potenziali svantaggi;
3) i metodi di analisi adottati si basano su una anacronistica fiducia nel mercato.

Le tre caratteristiche sono ovviamente connesse. Nel caso del TTIP si aggiunge ad esse una quarta, simpatica caratteristica:

4) l'impianto del progetto è intrinsecamente contraddittorio con il progetto europeo.

Vediamo un po' perché.

Vantaggi irrisori
Cominciamo dal primo punto. Come ricorderete, One market, one money quantificava il riparmio di costi di transazione (commissioni su cambi) determinato dall'Unione monetaria in uno 0.4% del Pil, che si sarebbe evidentemente verificato una tantum. Voglio cioè dire che in un singolo anno l'abolizione di questi costi avrebbe fatto crescere il Pil dello 0.4% in più. Ma una volta aboliti i costi, i costi non ci sarebbero più stati (per definizione), e quindi già dall'anno successivo non si sarebbero avuti ulteriori effetti. Ve lo spiego in un altro modo: nell'anno dell'introduzione della moneta unica avremmo avuto 0.4 punti percentuali di crescita in più, negli anni successivi no. Chiaro?

Ovviamente Eichengreen ci si fece una bella risata sopra: "Ma come vi viene in mente di affrontare un progetto così incerto a fronte di un beneficio così irrisorio?". Ma sse sa, signora mia, la ggente so tanto tanto 'nvidiosi, gli americani c'hanno paura che je rubbamo er monopolio de 'a moneta...

(discorsi da comare che oggi si sentono solo in certi seminari...)

Oggi non va tanto meglio. Lo studio leader per la valutazione dei benefici economici del TTIP è quello del CEPR (e come ti sbagli): Reducing Transatlantic Barriers for Trade and Investment. Come nota Jere, le conclusioni di questo studio sono presentate dalla Commissione come fatti, e allora, da bravi europei, facciamo così anche noi. La Table 2 dello studio di Jere riporta una valutazione comparativa dell'impatto sul Pil europeo nel 2027 (fra 13 anni). Il CEPR (che verosimilmente è quello che ha preso più soldi dalla Commissione) è il più ottimista. In caso di realizzazione di una "full FTA" (Free Trade Area, zona di libero scambio, con pieno abbattimento delle barriere interne, ma mantenimento di barriere tariffarie differenziate verso i paesi terzi - cioè gli Usa potrebbero adottare verso la Cina dazi diversi dall'Europa, in pratica), bene, in questo caso estremamente favorevole, il beneficio sarebbe immenso: lo 0.48% in più del Pil spalmato su 13 anni (cioè un aumento del tasso di crescita medio europeo dello 0.03% l'anno circa)!

Dice: ma che mme stai a pijà per culo? No, no, sto leggendo la Table 16 a p. 46 dello studio del CEPR. Quindi, pensate, se adottassimo il TTIP subito, con un colpo di bacchetta magica, l'anno prossimo la crescita europea sarebbe non del previsto 1.35%, ma, udite udite, dell'1.38%.

Sono i dettagli a fare la delizia dell'intenditore, e questi dettagli potete leggerli solo qui!

Ora, per carità, io capisco di non poter impedire alla maggior parte di voi di adottare toni barricaderi e piazzaleloretisti (plateale il caso di Alberto49, che comincia a farmeli girare: ma non glielo spiego perché ho capito che non può capirlo). Quindi ragliare "multinazzzzionali bbbbrutte, lobby cattive, attentato alla costituzzzzione", per poi andare all'osteria a farsi un quartino di bianco, è, come dire, la soluzione naturale che si presenta a molti di voi, e, fra l'altro, è un approccio giustificatissimo: dietro questo autentico attentato alla nostra costituzione c'è in effetti il potere di lobbing delle multinazionali, che di fatto agiscono nel loro, certo non nel nostro interesse.

Ma che sorpresa, eh?

A me però, invece di questo segreto di Pulcinella (che strano! I ricchi e potenti comandano nel loro interesse e comprano i politici per farsi i fatti propri! Chi lo avrebbe mai detto?) sembra molto più sorprendente, divertente e dirompente andare a leggere sui documenti ufficiali in base a quali pretesi vantaggi questo attentato ai nostri diritti viene perpetrato. Ci stanno vendendo per una cosa che dal punto di vista statistico è del tutto insignificante. A questo punto chi vuole piazzaleloreteggiare alzerà i toni, sbraiterà, si raccoglierà sotto la bandiera della rivolta, cederà al demone del qualcosismo ("dobbiamo fare qualcosa"), malattia senile del qualunquismo.

Chi invece vuole vincere una battaglia di democrazia andrà avanti con la lettura e mi aiuterà a portare questo dibattito nelle sedi opportune (cosa che, occorre saperlo, non è gratis).

Sintesi: per la seconda volta ci stanno proponendo un progetto che comporta rischi notevoli promettendo un beneficio che perfino ricercatori in conflitto di interessi e distorti in favore del progetto (perché pagati da chi lo propugna) quantificano come irrisorio.

I potenziali svantaggi non vengono quantificati
Veniamo al secondo punto (che poi è connesso al terzo): i potenziali svantaggi non vengono quantificati (punto 2) anche e soprattutto perché l'impianto analitico utilizzato per verificare i vantaggi nega che esistano gli svantaggi, e lo fa sempre per il solito motivo: perché si basa su una cieca fiducia nel mercato (punto 3).

Del caso di One market, one money abbiamo già parlato: l'idea era che non ci sarebbero state crisi finanziarie perché i mercati finanziari non avrebbero potuto sbagliare.

Nel caso delle valutazioni del TTIP, la fiducia nel mercato si traduce nel fatto che il modello analitico utilizzato per valutare il progetto è un cosiddetto modello CGE (Computable General Equilibrium). Due fra i quattro studi che Jere analizza utilizzano proprio lo stesso modello CGE, il GTAP. Il punto è che questi modelli sono basati sul paradigma neoclassico, per cui l'offerta crea la propria domanda, ovvero, in altri termini:

1) tutti i mercati sono riportati perennemente in equilibrio (a meno di frizioni temporanee) dall'aggiustamento dei prezzi relativi, e quindi:

2) tutta la produzione offerta viene anche domandata, e quindi:

2.a) il Pil è determinato da quanto si produce, non da quanto si compra, e
2.b) non c'è disoccupazione.

Abbiamo parlato di alcune implicazioni di questo approccio qui. Ora, nel caso che ci interessa, Jere fa notare che il principale limite di questi modelli consiste nel meccanismo di adattamento alle modifiche normative da essi ipotizzato. Una liberalizzazione del commercio espone alla concorrenza internazionale settori finora protetti, e l'idea è quella darwinista che così i migliori sopravviveranno, e i peggiori andranno a fare altro. I settori più competitivi delle singole economie, quelli che hanno un vantaggio comparato, assorbiranno in tal modo le risorse che si rendono libere negli altri settori, con beneficio di tutti.

Ad esempio: se in Italia la siderurgica non è competitiva, ma l'agroalimentare sì, le acciaierie chiudono e gli operai vanno a lavorare la terra. Facile, no? Ma non ditelo agli operai dell'AST...

Ci sono però alcuni problemini evidenziati da Jere:

1) Intanto, perché questo non produca disoccupazione (e quindi spreco di risorse) a livello aggregato, occorre che i settori competitivi si espandano abbastanza da accogliere tutte le risorse (umane e altre) lasciate libere dai settori "sconfitti" dal mercato;

2) inoltre, le risorse di cui trattasi (che poi sono persone) devono essere molto poliedriche! Il modello presuppone, nelle parole di Jere, che un operaio di una catena di montaggio possa riciclarsi istantaneamente come dipendente di una software house (purché sia disposto ad accettare un salario sufficientemente basso).

3) Qui subentra un terzo problemino, che ora comincia ad essere chiaro a tutti. Il meccanismo di aggiustamento basato sulla flessibilità dei salari al ribasso conduce fatalmente a crisi di domanda. Ovviamente un modello nel quale si rappresenta solo l'offerta di questo aspetto non tiene conto. In un modello simile ci sarà sempre piena occupazione: sarà la flessibilità verso il basso del salario a indurre l'imprenditore ad assumere. Il problema, però, è che questo tipo di modello non considera il fatto che i "costi" che la riforma degli scambi internazionali spinge a tagliare (per diventare più competitivi) sono anche i redditi che sostengono la domanda aggregata di beni.

Ci sono poi problemini "minori" (come l'effetto Daverio-Zingales: maggiore esposizione a shock idiosincratici), ma quelli li lasciamo per dopo. Qui occupiamoci degli effetti sull'occupazione.

Lo studio del CEPR è commovente: andate a pagina 71:

"It should be stressed that the model is a long-run model, where sources of employment and unemployment are “structural” (rather than cyclical). In this sense, changes in labour demand are captured through wage changes (in this case rising wages). As wages increase in the experiments, this means a rising demand for labour, so that under a flexible labour supply specification, employment would increase instead."



Ovvero: la relazione fra domanda e occupazione (gli effetti ciclici) non ci interessa - il che, considerando che grazie all'euro la recessione durerà una decina di anni, qualche dubbio lo fa sorgere; le variazioni della domanda di lavoro sono segnalate solo da quelle del costo del lavoro: se i salari aumentano, significa che c'è più domanda di lavoro da parte delle imprese, e quindi più occupazione. E quindi? E quindi l'impatto sulla disoccupazione non viene nemmeno misurato, perché la disoccupazione c'è se la domanda di lavoro (da parte delle imprese) è inferiore all'offerta (da parte delle famiglie), e tutto quello che il modello misura non è quanti posti di lavoro verranno creati o distrutti dal TTIP, ma come la forza lavoro (che si suppone sarà tutta occupata) verrà riallocata da un settore all'altro, considerando separatamente gli effetti per gli "skilled" (qualificati) e i "non skilled" (non qualificati). Quindi, ad esempio, la Table 34 dello studio ci dice che nell'UE la quota di lavoratori "skilled" allocati nell'agricoltura aumenterà dello 0.07%, ma non ci dice quanti nuovi posti di lavoro ci saranno in agricoltura.

E va be'...

Qui i problemi sono due. Il primo ve l'ho detto: di posti di lavoro si preferisce non parlarne, et pour cause. Il meccanismo del modello, per i tre punti sopra esposti, può considerare solo effetti riallocativi, sotto l'ipotesi estremamente eroica che la riconversione di un operaio siderurgico in un dentista, o quella di un parrucchiere in un progettista aerospaziale sia istantanea e senza costi. L'altro aspetto è che la stima dei potenziali benefici in termini di salari (l'idea che i salari crescerebbero) è basata sull'ipotesi che la distribuzione del reddito rimanga costante. Come nota Jere, il CEPR prevede che nel 2027 la famiglia europea media guadagni 545 euro in più all'anno (45 euro in più al mese!) grazie al TTIP, ma questo, ovviamente, se la distribuzione del reddito rimane invariata, perché se invece la quota salari continua a scendere, il maggior Pil andrà ai profitti, non ai salari, e non tutte le famiglie beneficeranno in ugual misura dei mirabolanti incrementi di cui sopra (lo 0.48%).

La vera chicca
Ma concludiamo con la vera chicca. Gli effetti su Pil e redditi sono irrisori, perché sono irrisori, secondo lo stesso CEPR (cioè secondo la commissione) gli effetti sul commercio! Il commercio bilaterale crescerebbe tantissimissimo (quante volte abbiamo sentito questa storia), ma siccome crescerebbero sia le esportazioni che le importazioni, l'impatto netto non sarebbe così rilevante. Le esportazioni europee extra-UE nel 2027 in presenza di TTIP sarebbero del 5.9% superiori a quanto si avrebbe in assenza di TTIP. Il risultato di questa bella storia è che in effetti il TTIP disintegrerebbe l'Europa, nel senso di ridurre il commercio intra-zona (vedi la Table 24 dello studio CEPR). Insomma: con il TTIP gli europei commercerebbero di meno fra loro, e di più con gli Stati Uniti.

Ora, come ci siamo detti più volte, il beneficio di creare un'Unione economica è quello di avere un grande mercato che permetta di assorbire shock esterni: se gli Stati Uniti vanno per aria, la caduta della loro domanda viene compensata dal fatto che il grande mercato unico europeo in teoria sostiene l'acquisto dei beni europei. In pratica no, perché l'euro condanna a politiche di deflazione competitiva, come vi ho spiegato, ma almeno in teoria...

Con il TTIP questo beneficio teorico verrebbe ulteriormente compromesso: saremmo più legati agli Usa, e quindi più esposti agli shock che da essi provengono, pur essendo ugualmente privi di strumenti di politica fiscale, monetaria e valutaria per reagire ad essi. Come nota Jere, un esito simile non lascia tranquilli.

Io mi limito a ribadire quello che abbiamo più volte osservato: i difensori dell'euro e di questa Europa sono costretti, fatalmente, a stuprare la logica. Tutto quello che fanno contraddice platealmente tutto quello che dicono. Vogliono più Europa, e firmano dietro le nostre spalle un trattato che disintegrerà l'Europa prima commercialmente, e poi macroeconomicamente, esponendoci a qualsiasi errore di gestione dell'economia statunitense (e non è che ultimamente ce ne sian stati pochi...).


Una valutazione indipendente
Ovviamente non è necessario valutare l'impatto di un trattato commerciale con modelli di equilibrio generale. Si possono anche usare modelli basati sulla sintesi neoclassica, in cui si considerano le interazioni fra domanda e offerta (come avviene nel modello di a/simmetrie e nella maggior parte dei modelli utilizzati da banche centrali e enti di ricerca: ce l'ha ricordato il prof. Lippi a Pescara).

Nel suo working paper Jere fa questo lavoro, e lo fa, da bravo europeo, prendendo per buoni i risultati dello studio CEPR, cioè ipotizzando che il volume del commercio si sviluppi, in seguito al TTIP, secondo quanto prevedono gli studi prezzolati finanziati dalla Commissione. Cosa cambia, allora? Cambia il fatto che usando un modello keynesiano:

1) si considerano gli impatti della variazione del commercio sulla domanda aggregata;
2) si considerano gli effetti di trade diversion, cioè il fatto che la maggiore integrazione fra Europa e Stati Uniti ha effetti sulle relazioni con i paesi terzi;
3) si considerano gli impatti su domanda di lavoro, salari reali e occupazione.

E che succede, se si tiene conto di queste cose?

Lo vedete nella Table 4 dello studio di Jere. Per la maggior parte dei paesi europei il TTIP comporterebbe un peggioramento del saldo delle partite correnti, verosimilmente perché a causa della stagnazione della domanda interna (cioè dei bassi redditi) gli europei si rivolgerebbero sempre di più a beni a basso valore aggiunto, nei quali sono meno competitivi: meno golf di Cucinelli, più magliette di cotone cinesi (importate via Stati Uniti, va da sé). Risultato: un peso ulteriore sulla bilancia dei pagamenti, che per i paesi del Nord sarebbe più grave che per noi - che già siamo stesi. Il tasso di crescita dell'economia d'altra parte diminuirebbe (com'è ovvio, dato il calo della domanda estera netta), e l'Europa sperimenterebbe una perdita di circa 600000 posti di lavoro. Non è una cosa enorme, considerando che la nostra popolazione attiva è di oltre 240 milioni, ma sarebbe meglio farne a meno, soprattutto perché i redditi di chi il lavoro lo conserverebbe diminuirebbero (il modello delle Nazioni Unite prevede in Italia una diminuzione di 661 euro per occupato, anziché un aumento di 545 per famiglia), e con essi la raccolta fiscale, con impatti negativi sulla sostenibilità dei conti pubblici.

Per carità, io sono di parte. Jere mi sta simpatico e l'Europa mi sta sui *******i, però qui stiamo parlando di analisi condotte con un modello delle Nazioni Unite, e basato su ipotesi lievemente meno ideologiche di quelle adottate dall'oste Commissione Europea per valutare il vino TTIP.

Se a questo aggiungiamo il fatto che la storia che avremmo lavorato un giorno in meno ecc. ce la siamo già sentita dire, ecco che qualche motivo di allarme sorge, e un'analisi economica ci aiuta a motivarlo in termini oggettivi, quindi dialetticamente più efficaci del piazzaleloretismo e del window flagging.


Perché?
E allora chiediamoci perché? Perché i nostri governanti ci stanno consegnando a questo progetto che ha benefici irrisori, costi potenzialmente elevati, ed è contraddittorio con la retorica dell'integrazione europea.

E la risposta è semplice: perché l'Unione Economica e Monetaria, che ci viene venduta come il momento più alto di realizzazione della nostra identità europea, di un nostro comune progetto europeo, in realtà è il momento più infimo del nostro asservimento all'ideologia e agli interessi statunitensi. Ne ho parlato tante volte, non ci ritorno, ma quello che va capito è il senso complessivo dell'operazione, che secondo me è questo: gli Usa hanno bisogno di un mercato di sbocco perché, da potenza declinante, stanno perdendo potere di signoraggio sui mercati internazionali. Gli sviluppi delle relazioni bilaterali fra i BRICS, e in particolare la dedollarizzazione degli scambi fra Cina e Russia, se dovessero generalizzarsi, significherebbero per gli Stati Uniti la fine del periodo dello "stampa (dollari) e compra (ovunque nel mondo)". Il "privilegio esorbitante", come lo chiamava Valery Giscard d'Estaing, verrebbe meno in un mondo nel quale il dollaro non fosse l'unico e solo strumento di regolazione delle transazioni sui mercati internazionali. A questo punto gli Stati Uniti non potrebbero permettersi più di essere in deficit strutturale netto verso l'estero. Puoi essere "acquirente di ultima istanza" se stampi a casa tua la moneta nella quale acquisti. Quando le cose non vanno più esattamente così, ti conviene avere una posizione equilibrata negli scambi con l'estero, altrimenti le cose si mettono male. Il +1% di esportazioni nette che il TTIP potrebbe arrecare agli Stati Uniti andrebbe proprio nel senso di ridurre il loro deficit (a costo di un aumento del nostro). L'Europa diventerebbe la periferia, in una nuova edizione del romanzo di centro e periferia, da voi tanto amato, dove gli Usa, chiedendoci l'Ani, ci inonderebbero della loro liquidità (con la quale il resto del mondo progressivamente avrebbe iniziato a nettarsi le terga), allo scopo di farci acquistare i loro simpatici bistecconi transgenici.

Sappiamo tutti quali siano gli incentivi che le élite periferiche traggono dal vendere i propri subalterni alle élite del centro, quindi di cosa ci stupiamo? Direi di nulla: BAU! Non è un cane: vuol dire business as usual.

E naturalmente qui sento i ragli dei piddini renziani (ormai tocca distinguere): "eh, ma l'euro ci aiuterebbe a difenderci!".

No!

Noooo!

Nooooooooooooo!

Le cose stanno esattamente al contrario, e ancora una volta tutto questo ci è stato detto, e detto in faccia, e detto in sedi autorevoli. L'euro non ci aiuta a difenderci nemmeno un po', e per due motivi ben evidenti. Il primo è che, come ormai sarebbe futile negare, è causa della nostra crisi, e quindi, banalmente, ci costringe ad affrontare in condizioni di debolezza qualsiasi negoziato internazionale. Il secondo è che nell'ottica statunitense l'euro è il primo passo verso la creazione di una moneta unica transatlantica, e questa non è una novità. Mundell ne parla da qualche anno, per capirci. E ora che sappiamo quali benefici ci abbia portato la moneta unica europea, e prima ancora quella italiana, siamo in grado di apprezzare quali e quanti benefici ci apporterebbe quella transatlantica.

Concludendo: nell'affrontare un tema così complesso sono io il primo a segnalarvi che l'ottica economica è necessariamente ristretta. Ma sarete d'accordo con me che aiuta a mettere a fuoco i probemi, no? Ricordatevi questo numero: +0.48% del Pil nel 2014.

Va bene, non siamo Gesù Cristo: ma lui, almeno, fu venduto per trenta denari...



(a proposito: Giuda e Eichmann hanno una cosa in comune, salvo errore...)


“Il principale effetto dell’Uem sarà che il vincolo della bilancia dei pagamenti come lo sperimentiamo nelle relazioni internazionali scomparirà. I mercati privati finanzieranno ogni debitore solvibile, e il saldo fra risparmi e investimenti non sarà più vincolato a livello nazionale”. Ulteriore traduzione per persone normali (cioè per non economisti): i portoghesi (per fare un esempio) potranno fare più investimenti di quelli consentiti dalla loro posizione finanziaria, perché potranno prendere liberamente a prestito dai paesi del Nord (esempio: la Germania), che presterà i soldi solo a chi se lo merita. E infatti s’è visto...
[ii] “Rispondere a shock nazionali e regionali attraverso i meccanismi del welfare e altre politiche”.

 
Più che farmi un'idea cercando notizie imparziali, io solitamente guardo a quelle parziali, da una parte e dall'altra. Di istinto solitamente mi viene di capire dove c'è una bugia e dove no.
 
Sembra che Obama abbia incassato una doppia sconfitta !!! :CICCIO Sia con l' U€ che in Asia.


http://www.dagospia.com/rubrica-3/p...a-congresso-nega-presidente-poteri-102670.htm

13 GIU 2015 09:33
CHE MAZZATA PER OBAMA! IL CONGRESSO NEGA AL PRESIDENTE I POTERI PER CONCLUDERE ACCORDI INTERNAZIONALI DI LIBERO SCAMBIO CON I PAESI DEL PACIFICO: LO SGAMBETTO ARRIVA DAL SUO STESSO PARTITO - BLOCCATO IL SUO PIANO “FREE TRADE”

L’approvazione del provvedimento al Senato, che l’aveva votato il 23 maggio scorso, aveva illuso Obama: pensava di spuntarla anche alla Camera con un capovolgimento di alleanze, visto che i repubblicani, che in aula hanno la maggioranza, si sono sempre detti favorevoli a un provvedimento che va nella direzione del liberismo economico…



Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”


Il Congresso nega a Barack Obama i poteri per concludere accordi internazionali di libero scambio e a questo punto i negoziati che gli Stati Uniti hanno in corso da anni con i Paesi del Pacifico e quelli della Ue, dovranno essere congelati. Una sconfitta doppiamente bruciante per il presidente: perché blocca, forse definitivamente, una parte essenziale del suo programma e della sua eredità politica, il «Free Trade» col quale rafforzare i legami con gli alleati in Asia ed Europa, e perché ad infliggergliela è stato soprattutto il suo stesso partito, quello democratico.


L’approvazione del provvedimento al Senato, che l’aveva votato il 23 maggio scorso, aveva illuso Obama: pensava di spuntarla anche alla Camera con un capovolgimento di alleanze, visto che i repubblicani, che in quell’aula dispongono di un’ampia maggioranza, si sono sempre detti favorevoli a un provvedimento che va nella direzione del liberismo economico.

I poteri speciali per firmare e poi attuare trattati commerciali vincolanti, il cosiddetto «Fast Track», dovrebbero durare sei anni: più che Obama, ormai giunto all’ultimo anno e mezzo della sua presidenza, a beneficiarne sarebbe il suo successore, forse un repubblicano. Ma, anche se l’America rimane un Paese fortemente legato alle logiche di mercato, il «Free Trade» con l’Asia negli ultimi anni è divenuto sempre meno popolare. Per lo schiacciamento di parti del ceto medio che hanno sofferto in modo molto forte per la globalizzazione, ma anche perché la necessaria segretezza dei negoziati ha alimentato nuove teorie di complotti.



Obama ha preso sottogamba le difficoltà mentre i malumori dei sindacati e della sinistra liberal si saldavano con quelli dei populisti del partito conservatore: il presidente ha capito che le cose si mettevano male solo giovedì sera quando, in una votazione preliminare sul «Fast Track», c’è stata la defezione di ben 34 deputati repubblicani. Il leader dei conservatori alla Camera, John Boehner, ha salvato il provvedimento con un margine di appena 3 voti solo perché è riuscito in extremis a convincere 8 democratici a votare la norma.


Obama è sceso in campo personalmente raggiungendo i leader del Congresso allo stadio, sugli spalti di una partita di baseball, e ieri mattina recandosi in Parlamento. Troppo tardi: il calcolo della Casa Bianca che pensava di avere i consensi per far passare i poteri presidenziali coi voti dei repubblicani, mentre per la parte sui sussidi ai lavoratori penalizzati contava su quelli dei democratici, è saltato quando il partito del presidente ha votato anche contro questo provvedimento assistenziale (inviso a molti repubblicani) pur di far saltare tutto. Sconfitta schiacciante (302 no, 126 sì), non si è nemmeno passati a votare i poteri presidenziali.


Intanto, mentre subisce un grave scacco nei rapporti con l’Asia e la Ue, Obama manda alla Russia quello che molti interpretano come un piccolo segnale d’apertura, a sfondo commerciale. Se da un lato enfatizza la necessità di tenere duro sulle sanzioni economiche per cercare di costringere il Cremlino a cambiare rotta sull’aggressione all’Ucraina, dall’altro la Casa Bianca decide di non esercitare pressioni sui capi dei grandi gruppi americani affinché non partecipino al forum economico di San Pietroburgo, la Davos della Russia, in calendario per la prossima settimana.



L’anno scorso venne chiesto esplicitamente ai grandi gruppi di boicottare l’evento. Stavolta alcuni diplomatici hanno rivelato al Financial Times che la linea Usa è: «Se ci chiedete, noi sconsigliamo di andare, se andate senza chiedere non verrete puniti». E molti big andranno.
 
Cioò che trovo pazzesco è che un tema così importante,sia parecchio sconosciuto ai più!
Ho chiesto ad un pò di amici,nulla non sanno nulla!!!
 
http://vocidallestero.it/2015/10/22...-massiccia-contrarieta-dellopinione-pubblica/

Un articolo dello storico Eric Zuesse http://www.zerohedge.com/news/2015-...ttip-despite-public’s-overwhelming-opposition , pubblicato da Zero Hedge, illustra alcuni sviluppi inquietanti del TTIP. Anche se molto viene tenuto segreto —con modalità che non hanno nulla a che fare con la democrazia— ciò che trapela indica che alcune condizioni del TTIP entreranno in vigore ancora prima che l’accordo sia formalmente (e comunque segretamente) concluso. Zuesse definisce tutto ciò nel modo opportuno: fascismo internazionale.



di Eric Zuesse, 20 ottobre 2015

I termini del TPP, il trattato sul “commercio” proposto da Obama alle nazioni asiatiche, non saranno resi pubblici fino a che il trattato non sarà in vigore da almeno quattro anni. I termini del TISA (accordo sul commercio dei servizi), proposto da Obama a 52 nazioni, non saranno resi pubblici fino a che il trattato non sarà in vigore da almeno cinque anni. Il TTIP, il trattato proposto da Obama ai paesi europei, è stato tenuto nascosto così bene che non si sa nemmeno per quanti anni dovrà essere tenuto nascosto all’opinione pubblica. Buongiorno, fascismo internazionale! — tutto fatto in segreto, fino al punto in cui è troppo tardi perché l’opinione pubblica possa reagire.

In Europa si sta andando proprio di corsa, per scongiurare che venga meno la segretezza, e il trattato non riesca quindi a passare. L’Unione Europea sta già segretamente imponendo le disposizioni stabilite dal (segreto) Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), ancora prima che venga firmato, e perfino prima che sia formalmente approvato da qualsiasi nazione. Ciò è stato rivelato lo scorso fine settimana in due circostanze:

La sera del 17 ottobre Phillip Inman, che gestisce la versione online del Guardian, ha intitolato (in un articolo che il Guardian non ha voluto pubblicare sulla versione cartacea) “La prospettiva del TTIP sta già minando gli standard alimentari UE, dicono gli attivisti“, e ha riportato che:

Nick Dearden, direttore del gruppo anti-povertà “Global Justice Now”, dice che il consulente capo per il trattato, Damien Levie, ha fatto trapelare che il trattato sul libero commercio implica la riduzione degli standard minimi concordati in UE.

Dearden riporta che secondo il resoconto della newsletter [disponibile agli iscritti] del Washington Trade Daily, Levie ad una conferenza tenuta presso il gruppo “US free market” al Cato Institute (che è di proprietà dei fratelli Koch, investitori miliardari del petrolio e anti-regolamentazioni) ha affermato che le sementi geneticamente modificate e le carni bovine trattate chimicamente potranno essere commercializzate in UE già prima della conclusione del trattato.

Secondo il report, Levie avrebbe detto ai paesi membri dell’UE che “sono state aumentate le revisioni e approvati nuovi organismi geneticamente modificati per un totale di cinque prodotti fino ad ora”.

Levie … ha detto alla conferenza del Cato Institute che entrambe le parti vogliono raggiungere un accordo economico nientemeno che completo. Ha ammesso che l’accordo potrebbe naufragare per la resistenza degli USA ad includere i servizi finanziari nel trattato, e per la riluttanza di Washington ad aprire gli appalti locali e nazionali alle offerte delle imprese europee.

In precedenza, le informazioni che venivano rese pubbliche tramite wikileaks avevano chiarito che nelle trattative sul TTIP erano gli USA il paese più aggressivo che spinge affinché le imprese multinazionali possano modellare le leggi dei singoli paesi — e questa è anche la posizione dei fratelli Koch.

Il 18 ottobre Lauren McCauley nel Common Dreams ha intitolato “Il TTIP sta già ‘Riscrivendo le regole’ degli standard europei per il cibo, rivela un nuovo report“, e afferma che un’organizzazione britannica progressista, Global Justice Now, ha pubblicato uno studio il 18 ottobre nel quale si nota che:

I funzionari USA sono riusciti a usare la prospettiva del TTIP per forzare l’UE all’abbandono del piano di bandire 31 pesticidi pericolosi dai generi alimentari, pesticidi che sono stati dimostrati essere causa di cancro e infertilità.

Un destino simile ha colpito le regolamentazioni sul trattamento della carne con acido lattico. Questo tipo di trattamento era stato proibito in Europa per la paura che venisse usato per nascondere pratiche di cattiva igiene. Il divieto è poi stato abrogato dai parlamentari europei della Commissione per la salute pubblica e la sicurezza alimentare, dopo che la Commissione Europea ha suggerito che le trattative sul TTIP sarebbero state a rischio se il divieto non fosse stato tolto.

Sul cambiamento climatico, il Direttivo europeo sulla qualità dei carburanti, che era determinato a vietare il petrolio canadese ottenuto da sabbie bituminose (il peggiore petrolio del mondo dal punto di vista degli effetti sul clima globale) si è arreso di fronte alle forti pressioni lobbistiche americane e canadesi sia sul TTIP che sull’accordo CETA (tra UE e Canada).

Come ho riportato il 2 febbraio del 2014:

La conduttura Keystone XL non contribuirà alla produzione di energia in USA, ma all’espotazione del peggiore petrolio dal punto di vista ambientale, verso Canada, Europa e Sud America. Trasporterà il petrolio delle sabbie bituminose della regione dell’Alberta (Canada) —metà del cui petrolio è di proprietà dei Koch— a sud verso le raffinerie dei Koch nella costa del golfo texano, per essere poi imbarcato soprattutto verso l’Europa.
Il presidente Obama sta perciò cercando di portare l’Europa ad un maggiore relax sugli standard contro il riscaldamento globale, al fine di farle importare il petrolio statunitense, che è assolutamente il peggiore del mondo dal punto di vista ambientale.

Inoltre, “al momento, la maggior parte del petrolio proveniente dalle sabbie bituminose del Canada viene esportato solo verso gli Stati Uniti centrali, a causa della mancanza di infrastrutture di trasporto”. Questo fatto (la mancanza di “infrastrutture” di trasporto per spostare il petrolio verso i mercati internazionali) causa l’abbassamento non solo del prezzo che i Koch riescono a ottenere per il loro petrolio (dato che non può essere venduto internazionalmente), ma limita anche fortemente la quantità totale del petrolio che riescono a vendere (indipendentemente dal prezzo), perché il mercato locale degli Stati Uniti centrali è ridotto. Il Keystone XL, pertanto, aumenterebbe enormemente le vendite annuali di petrolio estratto dalle sabbie.

Oltretutto, se questo lurido petrolio non viene venduto rapidamente, non verrà venduto affatto, ed ecco perché, secondo quanto spiegato da nientemeno che l’Oil & Gas Sector Analyst alla maggiore banca mondiale (in termini di asset):

Dice, “Tra il 60 e l’80% delle attuali riserve di carburante fossile presenti sul mercato globale non possono essere consumate, se dobbiamo limitare l’aumento delle temperature globali a due gradi Celsius”, e questa è l’aumento della temperatura critico secondo il 97% dei climatologi come punto di non ritorno verso un cambiamento climatico da evitare, se non si vuole una distruzione della biosfera del pianeta così come l’abbiamo sempre conosciuta.

Pertanto, il presidente USA Obama ha spinto aggressivamente affinché il petrolio da sabbie bituminose canadesi, posseduto in gran parte dai Koch, venisse ammesso all’interno del mercato europeo, al fine che una parte delle loro riserve di petrolio — ma anche di quelle di Exxon, ecc. — venissero vendute, prima che sia troppo tardi.

I frateli Koch sono considerati in genere i maggiori finanziatori del Partito Repubblicano negli USA. Il 5 gennaio 2012, il Washington Post intitolava “Coalizione politica sostenuta dai Koch, fatta per tutelare i donatori, ha raccolto 400 milioni di dollari nel 2012“, e Matea Gold ha riportato che “le risorse e l’ampiezza di questa organizzazione la rende qualcosa di singolare nella politica americana” e che “i suoi finanziatori restano ampiamente ignoti”. Tuttavia, un membro autodichiarato,

Jack Schuler, un imprenditore dell’assistenza sanitaria, è stato a uno degli incontri dei finanziatori dei Koch, a Beaver Creek, Colorado, molti anni fa, e ha contribuito con la somma di 100.000 dollari all’anno al loro sforzo. “Si presentano come dei tizi che stanno mettendo privatamente un sacco di soldi in questo progetto”, ha detto Schuler. “Hanno una parlata morbida, non urlano e non strepitano. Offrono una guida e uno staff — senza una tale struttura dietro, io non ce la farei da solo”.

Una gran parte dei 400 milioni di dollari sono andati alla campagna di Mitt Romney contro Barack Obama. Obama stesso sosteneva i Koch finanziariamente, eppure loro gli preferivano il candidato repubblicano.

I Koch hanno quindi già incassato il successo di Obama nel battere gli standard UE sulla qualità dei carburanti, perfino nel caso in cui il TTIP dovesse essere rifiutato. L’UE lo ha fatto senza nemmeno bisogno di intraprendere tutta la strada percorsa per mettere in atto il TTIP.



NOTA: Il titolo di questo articolo dice “A Dispetto della Schiacciante Contrarietà dell’Opinione Pubblica”, ma gli stessi sondaggi disponibili sul tema di questi accordi segreti sono manipolati. All’inizio i sondaggi chiedevano se le persone approvavano il “libero commercio”, o altre bizzarrie simili, e ovviamente i rispondenti dicevano di sì. Poi i sondaggi si sono semplicemente fermati, con l’idea che i trattati sul “commercio” siano popolari. Ma le enormi manifestazioni pubbliche, e tutto il resto, che da allora si scagliano contro questi trattati, hanno reso sempre più chiaro che, nella misura in cui l’opinione pubblica conosce effettivamente i trattati sul “commercio” proposti da Obama (specialmente in Europa, che non è così corrotta come gli USA, e dunque meno cittadini sono totalmente all’oscuro), essa si oppone fortemente, e potrebbe perfino rivoltarsi violentemente se questo fosse l’unico modo per impedire che il trattato venga approvato. Notizie come quelle che state leggendo sono state inviate a tutti gli organi di informazione occidentali, ma sono ben pochi quelli che le pubblicano. I più importanti gestori degli organi di informazione hanno partecipato direttamente ale commissioni che definivano questi trattati, e presumibilmente non sono molto contenti se i loro manoscritti vengono divulgati al pubblico in tempo perché questo possa impedire che entrino in vigore.

http://vocidallestero.it/2015/10/14...rlato-con-il-funzionario-ue-che-se-ne-occupa/
L’Independent http://www.independent.co.uk/voices...the-eu-official-in-charge-of-it-a6690591.html riporta le inquietanti parole del Commissario Europeo (C. Malmström) che decide il nostro destino in materia di trattati commerciali. La Malmström ammette tranquillamente che il popolo europeo non vuole la firma del TTIP, ma questo non importa perché lei (come tutti gli altri membri della Commissione) non deve rispondere delle sue azioni al popolo. Pertanto il Commissario proseguirà nella firma del trattato, perché così le viene richiesto dai suoi veri mandanti, ossia le élite, i lobbisti delle grandi multinazionali che impongono al popolo di fare ciò che ritengono sia giusto. Il buon vecchio metodo paternalistico europeo, già da tempo denunciato da Bagnai http://goofynomics.blogspot.ru/2011/11/luscita-delleuro-redux-la-realpolitik.html , viene ormai ammesso apertamente senza che l’informazione mainstream dia il giusto risalto alla sua gravità.


Di John Hilary , 13 ottobre 2015



Recentemente ho potuto gettare uno sguardo dietro la facciata ufficiale dell’Unione Europea, avendoincontrato il Commissario per il commercio nel suo ufficio di Bruxelles. Ci sono stato per discutere l’accordo transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), il controverso trattato attualmente in fase di negoziazione tra l’UE e gli USA.

Come Commissario al commercio, Cecilia Malmström occupa una posizione importante nell’apparato dell’Unione Europea. Lei è a capo della direzione del commercio della Commissione Europea, essendo succeduta a Peter Mandelson, da quando egli fu costretto ad abbandonare la politica di prima linea nel Regno Unito. Questo fa di lei la responsabile della politica commerciale e di investimento per tutti i 28 Stati membri dell’UE, e sono i suoi funzionari che stanno attualmente cercando di finalizzare l’accordo TTIP con gli Stati Uniti.

In questo nostro incontro, ho interrogato la Malmström riguardo l’enorme opposizione al TTIP in tutta Europa. Nell’ultimo anno, il numero record di tre milioni e 250 mila cittadini europei hanno firmato la petizione contro di esso. Ci sono state centinaia di riunioni e proteste in tutti i 28 Stati membri dell’UE, inclusa una spettacolare dimostrazione di 250.000 persone a Berlino in questo fine settimana.

Interrogata a riguardo, la Malmström ha riconosciuto che nessun accordo commerciale ha mai suscitato un’opposizione così appassionata e diffusa. Ma quando le ho chiesto come avrebbe potuto continuare il suo continuo appoggio all’accordo, di fronte a tale massiccia opposizione pubblica, la sua risposta mi ha gelato: “Il mio mandato non viene dal popolo europeo.”

Allora da dove prende il suo mandato Cecilia Malmström? Ufficialmente, i commissari dell’UE sono tenuti a riportare ai governi eletti dell’Europa. Ma la Commissione europea sta portando avanti i negoziati TTIP a porte chiuse senza un adeguato coinvolgimento dei governi europei, figuriamoci quindi quello dei parlamentari o membri del pubblico. I funzionari britannici hanno ammesso di essere stati tenuti all’oscuro durante i colloqui del TTIP, e che ciò rende impossibile il loro lavoro.

In realtà, come ha appena rivelato un nuovo rapporto di War on Want, la Malmström riceve gli ordini direttamente dai lobbisti delle aziende multinazionali che pullulano intorno a Bruxelles. La Commissione Europea non fa mistero del fatto che riceve istruzioni dalle lobby dell’industria come BusinessEurope e European Services Forum, proprio come una segretaria scrive sotto dettatura. Non sorprende che i negoziati TTIP sono impostati per servire gli interessi corporativi, e non i bisogni pubblici.

Entro i prossimi due anni, il popolo britannico dovrà decidere se uscire o rimanere nell’Unione Europea. Sono fiero di essere europeo e non ho legami con l’allarmismo xenofobo di quei piccoli “nativi inglesi” che vorrebbero chiudere i nostri confini. Io credo in un’Europa dei cittadini, un’Europa sociale dove possiamo collaborare con gli altri nel nostro continente – e al di fuori di esso – per costruire un futuro comune di là degli interessi commerciali di una piccola élite.

Ma la domanda a cui dovremo rispondere al referendum non è se vogliamo rimanere europei, come se una domanda del genere potesse avere un significato. Piuttosto, ci verrà chiesto se desideriamo restare soggetti alle istituzioni dell’Unione Europea, tra cui la Commissione non eletta. Come ha imparato il popolo greco attraverso l’amara esperienza, quelle istituzioni non accetteranno alcuna riforma o modifica dal loro modello di austerità permanente e dominio delle multinazionali.

Il TTIP offre uno scorcio dell’incubo che la Commissione Europea ha in serbo per ognuno di noi. Cecilia Malmström ci ha mostrato il disprezzo con cui lei e i suoi colleghi commissari vedono il popolo europeo.

Siamo stati avvertiti.

Per aggiungere la tua firma alla petizione popolare europea contro il TTIP, o per ulteriori informazioni, vai su waronwant.org/ttip
 

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Pierpa, posso farti qualche domanda, senza polemica?
Ti piace sciare? Ti piace la neve, l'inverno, la montagna, aspettare con ansia l'arrivo di dicembre, preparare l'attrezzatura e mettere finalmente gli sci sulla neve??
Ci sono tanti utenti che frequentano molto i thread politici, e io sono uno di quelli. Però per carità poi è bello, qui, parlare soprattutto di montagne, neve e cose belle. Forse mi sarò perso alcuni tuoi interventi e forse sarà un mio limite, ma hai mai partecipato a discussioni che non parlassero di euro, UE, Renzi o frontiere??????
 
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Pierpa, posso farti qualche domanda, senza polemica?
Ti piace sciare? Ti piace la neve, l'inverno, la montagna, aspettare con ansia l'arrivo di dicembre, preparare l'attrezzatura e mettere finalmente gli sci sulla neve??
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Beh calma, pierpa scrive anche in diverse discussioni skialp e di montagna. Cosa che non mi sento di dire di tanti altri "caldi come il fuoco" abitanti del solo off topic
 
Beh calma, pierpa scrive anche in diverse discussioni skialp e di montagna. Cosa che non mi sento di dire di tanti altri "caldi come il fuoco" abitanti del solo off topic
Infatti il.senza polemica era proprio per quello. Nn frequento tutte le sezioni del forum e quindi prima di arrivare a conclusioni affrettate ho chiesto. E la mia domanda era sincera ed autentica non retorica. Meglio così allora!
Semplicemente questo accanimento continuo contro l'euro sembra fin irreale. Ma evidentemente per lui è molto importante.
 
Infatti il.senza polemica era proprio per quello. Nn frequento tutte le sezioni del forum e quindi prima di arrivare a conclusioni affrettate ho chiesto. E la mia domanda era sincera ed autentica non retorica. Meglio così allora!
Semplicemente questo accanimento continuo contro l'euro sembra fin irreale. Ma evidentemente per lui è molto importante.


Visto che ti irrito, usa il tasto " ignora utente " nelle impostazioni di profilo !

Riguardo alla mia attività montana ti riassumo:
dopo 20 e + anni di scialpinismo, fui anche il tipico alpinista della domenica (pure caiano).
La neve l'ho vissuta 12 mesi all'anno (x un anno) e feci un calendario come da prescrizione del mitico mamo http://www.fuorivia.com/forum/viewtopic.php?f=12&t=23370&p=957508&hilit=calendario#p957508 ( per la cronaca gigiogigi ne ha minimo 2 ma forse anche 3 all'attivo). Ho pure qualche avventura extraeuropea nel mio bagaglio alpinisti e sciistico ( Marocco, Perù, Bolivia, Russia caucasica, India).
D'estate negli ultimi 10 anni ho mollato l'alpinismo per dedicarmi alla mtb ( mi piacciono i single track in discesa)
Spero di aver esaudito i tuoi dubbi sui mie interessi in ambito montano.
Quindi credo, come molti qui, di esser approdato in questo forum per evidenti interessi legati alla montagna.
Per quanto concerne € e dintorni, è evidente che non hai ancora compreso come e quanto incide ( dal mio punto di vista negativamente) nella nostra vita. Stessa cosa dicasi del ttip.
 
Visto che ti irrito, usa il tasto " ignora utente " nelle impostazioni di profilo !

Riguardo alla mia attività montana ti riassumo:
dopo 20 e + anni di scialpinismo, fui anche il tipico alpinista della domenica (pure caiano).
La neve l'ho vissuta 12 mesi all'anno (x un anno) e feci un calendario come da prescrizione del mitico mamo http://www.fuorivia.com/forum/viewtopic.php?f=12&t=23370&p=957508&hilit=calendario#p957508 ( per la cronaca gigiogigi ne ha minimo 2 ma forse anche 3 all'attivo). Ho pure qualche avventura extraeuropea nel mio bagaglio alpinisti e sciistico ( Marocco, Perù, Bolivia, Russia caucasica, India).
D'estate negli ultimi 10 anni ho mollato l'alpinismo per dedicarmi alla mtb ( mi piacciono i single track in discesa)
Spero di aver esaudito i tuoi dubbi sui mie interessi in ambito montano.
Quindi credo, come molti qui, di esser approdato in questo forum per evidenti interessi legati alla montagna.
Per quanto concerne € e dintorni, è evidente che non hai ancora compreso come e quanto incide ( dal mio punto di vista negativamente) nella nostra vita. Stessa cosa dicasi del ttip.
Non mi irrita affatto l'utente, ma la continua e martellante propaganda a senso unico. Non sono un esperto di economia per cui non ho la possibilità di controbattere alle tue teorie. Ciò nonostante appare evidente che le tue fonti sono sempre quelle e che nei tuoi thread non ci sia la minima possibilità di avere prospettive differenti da quelle che proponi. Evidentemente perché nessun altro utente abbastanza esperto di economia da poterlo fare, ha scelto di postare interventi alternativi ai tuoi.
E questo è stucchevole. Potrei mettermi io a fare ricerche, ma dato che la macro economia mi annoia, e le mie competenze sono scarse per non dire nulle, in un'ipotetica ricerca economica non potrei distinguere le fesserie dalle argomentazioni serie. Ergo non è né l'utente pierpa né l'argomento che mi irritano, ma il martellamento a senso unico. E vista la monotonia dei tuoi interventi sull'argomento sembra quasi che ne hai fatto una missione personale. Come ti dicevo non ho le competenze per risponderti nelle questioni tecniche. Ma se c'è tutta una schiera di pensatori che crede nell'euro, probabilmente avrà i suoi pro e i suoi contro, così come il TIIP, non credo alle tesi complottiste per cui dietro a ogni cosa c'è sempre un oscuro disegno per fregare l'umanità. Quindi ecco vorrei solo che sull'argomento ci fosse più dibattito serio e meno propaganda.
 
Il TTIP fa parte di una politica delle corporation americane contro l'indipendenza economica e politica dell'Europa e il loro welfare. Il loro braccio armato ha scattenato il putiferio nel medio oriente creando onde di profughi che destabilizzano i governi europei privilegiando le destre e le divisioni nazionalistiche. Dividi e impera.
 
Però per esempio pierpa sostiene che l'Europa Unita non va bene, ed è meglio tornare alla sovranità nazionale almeno per quanto riguarda la politica monetaria. Mi sembra che avete due visioni molto differenti della questione!!
 
Però per esempio pierpa sostiene che l'Europa Unita non va bene, ed è meglio tornare alla sovranità nazionale almeno per quanto riguarda la politica monetaria. Mi sembra che avete due visioni molto differenti della questione!!
È un reato pensarla in modo diverso?
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