In montagna, come sempre e soprattutto in alta montagna, è il destino a decidere con che bottino possiamo ritornare a casa. A volte magro, magrissimo, ma quel che è certo è che qualcosa nel bottino rimane sempre.
Il destino si era già rivelato in un mancato appuntamento mattutino per partire assieme ai nostri due compagni di weekend, Emmanuele e Petra, che abbiamo potuto incontrare solo più tardi già sul campo di battaglia. Poco male, assieme a Martina e grazie all'incontro coi compari in cerca di terreno fertile per le loro mire l'attesa diventa piacevole e una prima discesa con Jacopo e Marco ci fa riscaldare al meglio.
Una volta ripresi i nostri due soci, come da programmi abbiamo tempo per una discesa interessante prima di dedicarci alla salita verso il rifugio, sebbene l'ansia per la - fortunatamente momentanea - non apertura dell'impianto più alto ci obblighi a limitare il campo delle possibili scelte. Difatti se questo non aprisse saremmo costretti ad una salita decisamente più lunga e faticosa, e dovremmo regolare le forze e i tempi di conseguenza.
Mentre decidiamo per una Balma in compagnia si aggregano a noi gli ottimi Marco e Mauro e tutto sommato abbastanza velocemente scendiamo il lungo vallone preceduto da un ingresso più pepato, su neve piacevole nella parte alta e via via sempre più umida verso il basso, fino agli scomodi togli-metti della parte conclusiva. Risparmiamo qualche forza grazie al taxi, poi solo il tempo per un panino veloce in paese e via su verso la salita.
Scoprire che l'impianto per il ghiacciaio di Indren è ora aperto provoca tra noi una breve ma irrefrenabile esultanza e ci concediamo quindi dei preparativi meno frenetici, dopo aver salutato i compagni di giornata.
Arrivati su con la funivia si percepisce comunque che non sarà una vicenda facile. Scarsissima visibilità e vento in deciso aumento vengono fortunatamente compensati dalla nostra conoscenza del percorso, che ci mette al riparo da possibili errori.
Il lungo traverso lungo la cengia sotto il Mantova è da battere e lo fa per gran parte Emmanuele sfiancandosi per bene. Con tempi lunghi ma non troppo riprendiamo quindi la traccia non consueta fatta da chi ci ha preceduto diretto al rifugio Città di Mantova, ormai con le guance sinistre cosparse di ghiaccio per il vento e la neve.
Qui scopriamo che la traccia termina e siamo costretti a battere di nuovo il ripido pendio che porta alla Capanna Gnifetti, io per la mia strada (seguendo una traccia precedente ormai quasi completamente ricoperta dal vento) e i tre snowboarder-ciaspolatori per la loro, più larga e vicino alle rocce. Ora la stanchezza mi porta ad andare lentissimo, ma la mia magra consolazione che tende a spingermi è vedere che i tre non riescono ad avvicinarsi a me. Percepisco che anche Emmanuele, non a caso detto "Duracell", comincia a patire qualche fatica di troppo.
Comunque siamo arrivati, il rifugio e il meritato riposo sono pochissimi metri sopra di noi, dobbiamo solo togliere sci e ciaspole e arrampicarci su quella dannata ferratina che è lì a compensare l'abbassamento del livello del ghiacciaio.
Purtroppo - un po' poco lucido per il vento e la voglia di arrivare - prendo a salire sulle staffe coperte di neve riportata non pensando che sotto si sia formato uno strato di ghiaccio e lo scopro al primo accenno di scivolata placato dal canapone al quale mi tenevo. Vabbè, penso di dover riscendere un paio di metri e mettere anche i ramponi ma intanto un gruppetto con le pelli sta battendo il giro per l'accesso posteriore al rifugio, quindi ne approfittiamo e saliamo fin sotto la roccia dove si appoggia la Capanna. Lì, inaspettatamente, vediamo questi che si tolgono le pelli: è finita la loro gitarella pomeridiana e possono scendere giù a Staffal (ma che ci fanno qui dopo le 6 di pomeriggio??). Benissimo, ci tocca quindi attraversare un anfratto tra la roccia e la mole del ghiacciaio Garstelet, però ci tocca per sicurezza farlo legati, così come gli ultimi metri in salita verso la Madonna dei ghiacciai posta poco sopra il rifugio.
Da su vediamo uno dei gestori che esce per vedere se arriviamo (ci aveva visto molto tempo prima passare sotto al rifugio dalle finestre), e ci viene incontro assieme agli altri per assisterci nel scendere quei pochi metri malridotti però dal vento e dal riporto di neve.
Finalmente al caldo, e soprattutto al riparo dal vento, rimaniamo veramente sorpresi in positivo dalla calorosa accoglienza dei rifugisti - che ci fanno trovare un the bollente sui tavoli, e dell'unico altro ospite, Marco, che è arrivato da 4 ore e che da ora si unirà a noi per il resto del tempo.
Anche la cena, servita pochi minuti dopo il nostro arrivo, è incredibilmente abbondante e gustosa. Petra divora il primo piatto di minestrone in pochi secondi, e subito attacca con il primo piatto di pasta quando ancora sto soffiando nel piatto. Penso che forse iniziava ad avere fame.
Poco dopo anche noi prendiamo il ritmo nonostante la fatica fatta fino a poco prima limiti un pelo le nostre possibilità, ma a farci proseguire ci pensa la testa che non può rifiutare tutto quel ben di Dio. Pollo, salsicce in umido, purè e fagiolini fanno il resto, e a chiudere arrivano anche delle fette d'ananas, famoso frutto tipico della zona.
Basta, sappiamo già che faremo fatica a dormire viste le fatiche fino a tardi ma comunque non vediamo l'ora di andare in branda, quantomeno a riposare. Difatti solo Petra sembra che abbia dormito una quantità accettabile di tempo, però anche per noialtri la notte è passata serena ed è servita a riprendere un po' di energie.
La mattina dopo, complice la dannata ora legale, ci svegliamo non esageratamente presto, come da accordi con i rifugisti e con Marco, in modo che mentre ci prepariamo possa sopraggiungere qualche cordata dal Mantova per non dover continuare a battere traccia anche su verso il Colle del Lys.
Ben presto capiamo che tutti i nostri discorsi della sera precedente sono stati vani. Marco prova a uscire per accodarsi al primo gruppo ma ben presto capisce che gli altri hanno tutt'altro che voglia di continuare, bensì di venire dentro a ingozzarsi di thè caldo. Come si iniziava a percepire da dentro, il vento ha assunto proporzioni enormi, che nessuno di noi ricorda uguali.
Aspettiamo rinunciando ormai a qualsiasi velleità di salita, ma solo con l'idea di perdere quota e arrivare a godersi qualche curva più sotto, dove inevitabilmente il vento dovrebbe essere inferiore.
Il superamento - a ritroso rispetto al giorno precedente - di quei metri che ci riportano a cominciare la discesa, e poi la "sciata" verso il Mantova, è quanto di più simile all'Apocalisse possiamo immaginare.
Alla cappelletta le folate di vento buttano per terra, e molti di noi sbattono ginocchia o tibie contro qualche roccetta.
Martina, Petra e Emmanuele contrastano con difficoltà con il loro peso gli spostamenti pilotati dalla tavola in balia del vento. Giù dal canapone ci accorgiamo che la piccola paretina nevosa ai margini del ghiacciaio ieri alta circa 2-3 metri ora, lavorata dal vento, è diventata alta 8, mutando completamente il panorama. Vedere lo scorrere della polvere nevosa portata impetuosamente dal vento sul ghiaccio è veramente inquietante e se per me e Marco il problema è principalmente visivo, stando in mezza costa sulle lamine, per i tre ciaspolatori legati in cordata ve ne sono diversi, di cui il principale è decisamente gestire la "vela". I problemi maggiori sono per Petra, che viene aiutata da Marco a superare gli ultimi metri.
Il peggio, ossia il superamento del tratto a bordo del ghiacciaio, è passato, sebbene la discesa sul Mantova avvenga alternando due curve a lunghi intervalli di vento senza tregua. Piano piano scendiamo. Io e Marco arriviamo un attimo prima superando meglio con gli sci l'ultimissimo tratto pianeggiante. Andiamo quindi incontro ai tavolari per aiutarli, constatando tra raffiche infernali cosa voglia dire tenere la tavola in mano per qualche metro. Addirittura io e Marco teniamo assieme la tavola di Martina e siamo comunque costretti a contrastare con la forza l'impeto del vento. E' fatta, entriamo a riprenderci, dopo 150 metri di discesa e 2 ore nella bufera.
Dentro c'è rifugiata una mezza folla, chi passa il tempo ripassando qualche manovra, chi si scalda, chi beve un thè, purtroppo anche chi espleta i propri bisogni nel corridoio per non uscire ai bagni, che sono esterni. Insomma qui proprio l'ambiente non è quello che abbiamo trovato al Gnifetti, nonostante la sala interamente nuova e comoda si respira un altro spirito nell'aria.
Dopo un'oretta riprendiamo a scendere assieme ad altri gruppi e, dopo qualche tratto ancora impegnativo, presto entriamo in un mondo completamente diverso. Cinquecento metri di dislivello sotto al Mantova difatti il vento è in pratica sparito, la neve da asciutta e riportata è diventata cotta, il sole sempre più forte e asfissiante tanto da doverci togliere numerosi strati, Emmanuele scende addirittura in t-shirt per affrontare i pianori di rientro verso il Gabiet.
Basta, di fretta verso la macchina per cambiarci e imbucarci a bere birra e mangiar panini, comunque contenti per il weekend diverso dal solito.
Respinti da Eolo, ma torneremo.
VIDEO DEL WEEKEND
[vimeo]10528835[/vimeo]
Un grazie a tutti coloro che hanno anche solo in parte condiviso il nostro weekend, ma soprattutto a Martina, Emmanuele e Petra.
Il destino si era già rivelato in un mancato appuntamento mattutino per partire assieme ai nostri due compagni di weekend, Emmanuele e Petra, che abbiamo potuto incontrare solo più tardi già sul campo di battaglia. Poco male, assieme a Martina e grazie all'incontro coi compari in cerca di terreno fertile per le loro mire l'attesa diventa piacevole e una prima discesa con Jacopo e Marco ci fa riscaldare al meglio.
Una volta ripresi i nostri due soci, come da programmi abbiamo tempo per una discesa interessante prima di dedicarci alla salita verso il rifugio, sebbene l'ansia per la - fortunatamente momentanea - non apertura dell'impianto più alto ci obblighi a limitare il campo delle possibili scelte. Difatti se questo non aprisse saremmo costretti ad una salita decisamente più lunga e faticosa, e dovremmo regolare le forze e i tempi di conseguenza.
Mentre decidiamo per una Balma in compagnia si aggregano a noi gli ottimi Marco e Mauro e tutto sommato abbastanza velocemente scendiamo il lungo vallone preceduto da un ingresso più pepato, su neve piacevole nella parte alta e via via sempre più umida verso il basso, fino agli scomodi togli-metti della parte conclusiva. Risparmiamo qualche forza grazie al taxi, poi solo il tempo per un panino veloce in paese e via su verso la salita.
Scoprire che l'impianto per il ghiacciaio di Indren è ora aperto provoca tra noi una breve ma irrefrenabile esultanza e ci concediamo quindi dei preparativi meno frenetici, dopo aver salutato i compagni di giornata.
Arrivati su con la funivia si percepisce comunque che non sarà una vicenda facile. Scarsissima visibilità e vento in deciso aumento vengono fortunatamente compensati dalla nostra conoscenza del percorso, che ci mette al riparo da possibili errori.
Il lungo traverso lungo la cengia sotto il Mantova è da battere e lo fa per gran parte Emmanuele sfiancandosi per bene. Con tempi lunghi ma non troppo riprendiamo quindi la traccia non consueta fatta da chi ci ha preceduto diretto al rifugio Città di Mantova, ormai con le guance sinistre cosparse di ghiaccio per il vento e la neve.
Qui scopriamo che la traccia termina e siamo costretti a battere di nuovo il ripido pendio che porta alla Capanna Gnifetti, io per la mia strada (seguendo una traccia precedente ormai quasi completamente ricoperta dal vento) e i tre snowboarder-ciaspolatori per la loro, più larga e vicino alle rocce. Ora la stanchezza mi porta ad andare lentissimo, ma la mia magra consolazione che tende a spingermi è vedere che i tre non riescono ad avvicinarsi a me. Percepisco che anche Emmanuele, non a caso detto "Duracell", comincia a patire qualche fatica di troppo.
Comunque siamo arrivati, il rifugio e il meritato riposo sono pochissimi metri sopra di noi, dobbiamo solo togliere sci e ciaspole e arrampicarci su quella dannata ferratina che è lì a compensare l'abbassamento del livello del ghiacciaio.
Purtroppo - un po' poco lucido per il vento e la voglia di arrivare - prendo a salire sulle staffe coperte di neve riportata non pensando che sotto si sia formato uno strato di ghiaccio e lo scopro al primo accenno di scivolata placato dal canapone al quale mi tenevo. Vabbè, penso di dover riscendere un paio di metri e mettere anche i ramponi ma intanto un gruppetto con le pelli sta battendo il giro per l'accesso posteriore al rifugio, quindi ne approfittiamo e saliamo fin sotto la roccia dove si appoggia la Capanna. Lì, inaspettatamente, vediamo questi che si tolgono le pelli: è finita la loro gitarella pomeridiana e possono scendere giù a Staffal (ma che ci fanno qui dopo le 6 di pomeriggio??). Benissimo, ci tocca quindi attraversare un anfratto tra la roccia e la mole del ghiacciaio Garstelet, però ci tocca per sicurezza farlo legati, così come gli ultimi metri in salita verso la Madonna dei ghiacciai posta poco sopra il rifugio.
Da su vediamo uno dei gestori che esce per vedere se arriviamo (ci aveva visto molto tempo prima passare sotto al rifugio dalle finestre), e ci viene incontro assieme agli altri per assisterci nel scendere quei pochi metri malridotti però dal vento e dal riporto di neve.
Finalmente al caldo, e soprattutto al riparo dal vento, rimaniamo veramente sorpresi in positivo dalla calorosa accoglienza dei rifugisti - che ci fanno trovare un the bollente sui tavoli, e dell'unico altro ospite, Marco, che è arrivato da 4 ore e che da ora si unirà a noi per il resto del tempo.
Anche la cena, servita pochi minuti dopo il nostro arrivo, è incredibilmente abbondante e gustosa. Petra divora il primo piatto di minestrone in pochi secondi, e subito attacca con il primo piatto di pasta quando ancora sto soffiando nel piatto. Penso che forse iniziava ad avere fame.
Poco dopo anche noi prendiamo il ritmo nonostante la fatica fatta fino a poco prima limiti un pelo le nostre possibilità, ma a farci proseguire ci pensa la testa che non può rifiutare tutto quel ben di Dio. Pollo, salsicce in umido, purè e fagiolini fanno il resto, e a chiudere arrivano anche delle fette d'ananas, famoso frutto tipico della zona.
Basta, sappiamo già che faremo fatica a dormire viste le fatiche fino a tardi ma comunque non vediamo l'ora di andare in branda, quantomeno a riposare. Difatti solo Petra sembra che abbia dormito una quantità accettabile di tempo, però anche per noialtri la notte è passata serena ed è servita a riprendere un po' di energie.
La mattina dopo, complice la dannata ora legale, ci svegliamo non esageratamente presto, come da accordi con i rifugisti e con Marco, in modo che mentre ci prepariamo possa sopraggiungere qualche cordata dal Mantova per non dover continuare a battere traccia anche su verso il Colle del Lys.
Ben presto capiamo che tutti i nostri discorsi della sera precedente sono stati vani. Marco prova a uscire per accodarsi al primo gruppo ma ben presto capisce che gli altri hanno tutt'altro che voglia di continuare, bensì di venire dentro a ingozzarsi di thè caldo. Come si iniziava a percepire da dentro, il vento ha assunto proporzioni enormi, che nessuno di noi ricorda uguali.
Aspettiamo rinunciando ormai a qualsiasi velleità di salita, ma solo con l'idea di perdere quota e arrivare a godersi qualche curva più sotto, dove inevitabilmente il vento dovrebbe essere inferiore.
Il superamento - a ritroso rispetto al giorno precedente - di quei metri che ci riportano a cominciare la discesa, e poi la "sciata" verso il Mantova, è quanto di più simile all'Apocalisse possiamo immaginare.
Alla cappelletta le folate di vento buttano per terra, e molti di noi sbattono ginocchia o tibie contro qualche roccetta.
Martina, Petra e Emmanuele contrastano con difficoltà con il loro peso gli spostamenti pilotati dalla tavola in balia del vento. Giù dal canapone ci accorgiamo che la piccola paretina nevosa ai margini del ghiacciaio ieri alta circa 2-3 metri ora, lavorata dal vento, è diventata alta 8, mutando completamente il panorama. Vedere lo scorrere della polvere nevosa portata impetuosamente dal vento sul ghiaccio è veramente inquietante e se per me e Marco il problema è principalmente visivo, stando in mezza costa sulle lamine, per i tre ciaspolatori legati in cordata ve ne sono diversi, di cui il principale è decisamente gestire la "vela". I problemi maggiori sono per Petra, che viene aiutata da Marco a superare gli ultimi metri.
Il peggio, ossia il superamento del tratto a bordo del ghiacciaio, è passato, sebbene la discesa sul Mantova avvenga alternando due curve a lunghi intervalli di vento senza tregua. Piano piano scendiamo. Io e Marco arriviamo un attimo prima superando meglio con gli sci l'ultimissimo tratto pianeggiante. Andiamo quindi incontro ai tavolari per aiutarli, constatando tra raffiche infernali cosa voglia dire tenere la tavola in mano per qualche metro. Addirittura io e Marco teniamo assieme la tavola di Martina e siamo comunque costretti a contrastare con la forza l'impeto del vento. E' fatta, entriamo a riprenderci, dopo 150 metri di discesa e 2 ore nella bufera.
Dentro c'è rifugiata una mezza folla, chi passa il tempo ripassando qualche manovra, chi si scalda, chi beve un thè, purtroppo anche chi espleta i propri bisogni nel corridoio per non uscire ai bagni, che sono esterni. Insomma qui proprio l'ambiente non è quello che abbiamo trovato al Gnifetti, nonostante la sala interamente nuova e comoda si respira un altro spirito nell'aria.
Dopo un'oretta riprendiamo a scendere assieme ad altri gruppi e, dopo qualche tratto ancora impegnativo, presto entriamo in un mondo completamente diverso. Cinquecento metri di dislivello sotto al Mantova difatti il vento è in pratica sparito, la neve da asciutta e riportata è diventata cotta, il sole sempre più forte e asfissiante tanto da doverci togliere numerosi strati, Emmanuele scende addirittura in t-shirt per affrontare i pianori di rientro verso il Gabiet.
Basta, di fretta verso la macchina per cambiarci e imbucarci a bere birra e mangiar panini, comunque contenti per il weekend diverso dal solito.
Respinti da Eolo, ma torneremo.
VIDEO DEL WEEKEND
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Un grazie a tutti coloro che hanno anche solo in parte condiviso il nostro weekend, ma soprattutto a Martina, Emmanuele e Petra.
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